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S. MARIA IN VALLICELLA ( La Chiesa Nuova)

  

Quando con la bolla Copiosus in misericordia Dominus del 15 luglio 1575 papa Gregorio XIII riconobbe la Congregazione dell’Oratorio, affidò a S. Filippo Neri l’antica chiesa di Santa Maria in Vallicella ridotta allora quasi in rovina. Ricordata sin dal XII secolo come chiesa dedicata alla natività della Madonna, nel Quattrocento e nel Cinquecento venne spesso denominata Santa Maria in Puteo Albo per la presenza, di fronte all’edificio ecclesiale, di un antico puteale in marmo bianco.

Il luogo dove si trovava la chiesa rappresentava uno dei punti più importanti nella topografia romana: posto al limitare  dei rioni Ponte e Parione, sull’asse S. Pietro - S. Marco, era vicina anche a S. Girolamo della Carità, a San Giovanni dei Fiorentini e alla Santissima Trinità dei Pellegrini dove S. Filippo Neri svolgeva la sua attività di apostolato e assistenza ai poveri e agli orfani.

“Pippo buono”, così veniva familiarmente e affettuosamente chiamato il santo dai suoi poveri assistiti, subito decise di ricostruire la sua nuova chiesa nello stesso luogo dell’antica, mantenendone la dedicazione, in quella depressione del terreno che veniva chiamata vallicella.

L’architetto scelto in un primo tempo fu Matteo da Castello, il cui progetto radicale prevedeva non la restaurazione ma la totale demolizione della fatiscente chiesa e la completa ricostruzione dell’edificio, la “Chiesa Nuova” appunto, come da allora sarà chiamata.

I lavori iniziarono già nell’agosto dello stesso 1575 con lo scavo delle fondamenta. 

 

Dopo due anni, nel febbraio del 1577, l’edificio era già in parte costruito e dotato di copertura lignea, tanto che il cardinale Alessandro de’ Medici vi celebra la prima messa. Nel 1585 diviene architetto della Congregazione Giacomo Della Porta che apporta modifiche fondamentali alla pianta di Matteo di Castello (trasformazione della chiesa da una a tre navate), determinando sostanzialmente l’aspetto che la chiesa ha attualmente. Il cardinale Pier Donato Cesi divenuto il principale finanziatore della fabbrica, nel 1581, fa rivedere dal suo architetto di fiducia, Martino Longhi, i precedenti progetti adottando una soluzione di compromesso fra i due.

La chiesa è a tre navate con cappelle laterali (cinque per parte) comunicanti, ampio transetto con due cappelle laterali, abside e cupola.

L’abside, a pianta semicircolare, il transetto e la cupola, realizzati nel 1589-90, sono inaugurati nella Pasqua del 1591.

L’espresso desiderio di Filippo Neri prevedeva inoltre una semplice imbiancatura della volta della navata principale - terminata nel 1592-94 - della cupola e del presbiterio. Più tardi Pietro da Cortona affrescherà tutto l’insieme con le sue splendide pitture.

Iniziano quindi i lavori per la facciata la cui fondazione è del 2 aprile 1594.

Dei numerosi progetti dibattuti viene scelta la proposta di Fausto Rughesi, che peraltro si richiama al disegno di Giacomo Della Porta. I lavori, più volte interrotti, anche per lo straripamento del Tevere, riprendono nel 1603, procedendo per circa un decennio, fino al completamento.

In travertino, la facciata è scompartita in due ordini di paraste binate; alla sommità del primo ordine scorre, lungo il cornicione, l’iscrizione dedicatoria per il committente, Angelo Cesi, vescovo di Todi e fratello del cardinale Pier Donato (lo stemma dei Cesi – una quercia con il monte di sei cime – è più volte ripetuto).

Il portale maggiore spicca su quelli laterali, oltre che per le dimensioni anche per la presenza – a sottolinearne l’importanza – delle colonne binate che sostengono l’architrave e la lunetta centinata e aggettante dove è collocata la Madonna Vallicelliana, opera scolpita da Giovanni Antonio Paracca, autore anche delle statue nelle nicchie dell’ordine superiore (San Gregorio Magno a sinistra e San Girolamo a destra). Le due piccole volute di raccordo angolare derivano dal prototipo presente sulla facciata del Gesù (al cui continuo confronto si richiamavano gli Oratoriani). Il timpano  triangolare che racchiude in alto la facciata è probabilmente una soluzione di Carlo Maderno.

La cupola, che Martino Longhi aveva realizzato priva di tamburo nel 1590, fu modificata da Pietro da Cortona nel 1650 con l’aggiunta di una lanterna e cupolino per una migliore illuminazione interna.

 

Il fastoso interno della chiesa accoglie il visitatore che non può fare a meno di stupirsi per la grandezza e sontuosità dell’aula ecclesiale.

A cominciare dalla volta della navata, opera famosissima di Pietro da Cortona, il quale nei suoi interventi pittorici nella chiesa, articolati tra il 1647 e il 1666, celebra e svolge i temi più cari al culto oratoriano: la Madonna e San Filippo Neri.

Il cortonese iniziò a dipingere la cupola nel giugno del 1648 (fu scoperta il 26 maggio 1651 in occasione della festa di San Filippo Neri), sviluppando il tema della Trinità in gloria e profeti, complementare a quello della decorazione della tribuna e dei pennacchi con l’Assunzione della Vergine, santi e profeti, eseguita tra il 1655 e il 1659: queste pitture facevano infatti parte di un unico progetto iconografico elaborato dagli oratoriani. L’affresco della cupola produce l’effetto di un moto rotatorio continuo, di cui l’elemento propulsore è la nuvola centrale, su cui si avvita la figura della Vergine, che gli angeli intorno sospingono in un incessante girare. La tecnica pittorica usata qui dal maestro è quella di un procedere rapido con effetti coloristici chiarissimi che sfiorano il monocromo alternati a tratti più corposi eseguiti con il puntinato.

Nella volta della navata centrale è rievocato l’episodio famoso ricordato da tutti i biografi del santo: la Madonna apparsa nel 1576 in visione a San Filippo Neri nell’atto di sostenere una trave pericolante durante la costruzione della chiesa.

Il grande affresco di Pietro da Cortona realizzato in poco più di un anno, tra il 1664 e il 1665, con il Miracolo alla chiesa di San Filippo Neri è l’opera più efficace e ammirata eseguita per gli oratoriani: la soluzione illusionistica, che riscosse grande successo, è giocata tutta sull’effetto scenico dei personaggi, tra cui lo stesso San Filippo, che sembrano ricadere in basso sullo spettatore, mentre l’occhio viene condotto verso l’alto, dove la scala, il tetto spaccato e la visione del cielo aperto circondano la figura della Vergine e ancora più in alto la schiera di angeli che sembrano oltrepassare addirittura il limite della scena dipinta.

Sopra l’altare maggiore, che Giovan Battista Guerra aveva costruito tra il 1596-99, è conservata dal 1608 l’immagine ad affresco della trecentesca Madonna Vallicelliana – che si trovava su un muro esterno di un edificio adibito a bagno pubblico, un luogo malfamato denominato “stufa” – che nel 1535 percossa dal sasso di un violento sanguinò. Gli oratoriani raccolsero l’affresco distaccato e lo conservarono dapprima nel vecchio edificio e infine lo posero sull’altare della nuova chiesa.

 

Quando il pittore fiammingo Peter Paul Rubens ricevette l’incarico di decorare l’abside di Santa Maria in Vallicella l’affresco antico fu posto al centro di un tabernacolo in ardesia, dipinto dallo stesso Rubens con la raffigurazione di cerchi concentrici di Angeli e cherubini adoranti, ruotanti intorno alla “pala schermo” di rame con la Madonna e il Bambino benedicente, anch’essi dipinti da Rubens, che con un ingegnoso sistema nascosto dietro l’altare, in funzione delle esigenze liturgiche, copre o svela l’icona filippina.

Questa pala centrale è affiancata da altre due poste ai lati del presbiterio e concepite da Rubens come un complesso unitario, in stretta connessione con lo spazio architettonico in cui sono poste e in rapporto diretto con la luce naturale: anch’esse dipinte su ardesia raffigurano a destra i Santi Flavia Domitilla, Nereo e Achilleo, a sinistra i Santi Gregorio Magno, Papia e Mauro.

A destra del presbiterio, la cappella di San Carlo Borromeo celebra il grande contemporaneo di San Filippo, fratello spirituale della Congregazione di cui fu generoso benefattore. Il quadro sull’altare con la Madonna e il Bambino Gesù fra i Santi Carlo Borromeo e Ignazio di Loyola,  del 1672-79, è di Carlo Maratti.

Nel transetto è stato trasferito dal convento negli anni 1922-24 il pulpito ligneo disegnato da Francesco Borromini tra il 1638-42.

 

Sul lato sinistro del transetto, simmetricamente alla cappella di San Carlo Borromeo, si apre la cappella dedicata a San Filippo Neri. Fu fatta costruire fra il 1600 e il 1606 da un parente acquisito del Santo, il nobile fiorentino Neri Del Nero, su progetto di Onorio Longhi. L’ambiente, preziosissimo, è composto di due vani, il primo ottagonale e il secondo circolare, interamente rivestiti di marmi pregiati, alabastri, diaspri, madreperle, lapislazzuli, coralli, onici, agate e ametiste. Il restauro effettuato nel 1994-95 ha permesso il pieno recupero dello splendore originario, opera degli scalpellini Marchione Cremoni e Bartolomeo de’ Laurenzi con l’orafo  Bartolomeo de’ Bardi. La perfezione del disegno con cui è stata eseguita l’intera opera fa ritenere uno stretto rapporto con l’Opificio delle pietre dure, considerando anche la committenza fiorentina. Sull’altare in sostituzione del famoso quadro di Guido Reni (spostato nelle Stanze di San Filippo) è il mosaico con San Filippo Neri e la Madonna della Vallicella (1765-74) di Vincenzo Castellani. Nell’urna di cristallo è esposto il corpo del Santo: la maschera d’argento che ricopre il volto è stata realizzata nel 1603 dall’orafo Tommaso Cortine.

Le allegorie in stucco del transetto furono realizzate da Cosimo Fancelli ed Ercole Ferrata.

In ogni cappella della chiesa è presente un’opera degna di nota, tra le più significative devono essere ricordate: la pala d’altare di Scipione Pulzone  con la Crocifissione (1586) nella prima cappella della navata destra; nella seconda cappella, dedicata alla Pietà, si trovava il famoso quadro di Caravaggio con la Deposizione di Cristo nel sepolcro (1602) ora sostituito da una copia. Nel 1797 i francesi ritirarono dall’altare, dopo il trattato di Tolentino, il capolavoro di Caravaggio che, anche dopo la restituzione curata da Antonio Canova nel 1816, non tornò più al suo posto alla Vallicella, da quell’anno infatti si conserva alla Pinacoteca Vaticana.

La cappella a sinistra del transetto, dedicata alla Presentazione di Maria al tempio porta sull’altare la pala del 1603 di Federico Barocci di cui gli oratoriani rimasero entusiasti come scriveranno al committente Angelo Cesi: “incredibile applauso et sodisfattione non solo nostra ma di tutta Roma”. Nella quarta cappella di sinistra, della Visitazione, altra opera del Barocci realizzata nel 1586, la Visitazione, l’unico quadro che, secondo l’unanime testimonianza dei biografi del Santo risultava particolarmente gradito a Filippo (indubbiamente per il tema iconografico mariano), che nella cappella “si tratteneva volentieri piacendogli assai quell’immagine del Barocci”.

Dal portale a sinistra della cappella Cesi (della Presentazione di Maria), attraversando un corridoio, si accede alla SACRESTIA e alle STANZE DI SAN FILIPPO NERI.

 

Il progetto della monumentale sacrestia, inaugurata nel 1634, è di Paolo Maruscelli, architetto dell’ordine, mentre i grandiosi armadi di noce sono stati eseguiti tra il 1633 e il 1638 da Taddeo Landi. Tutta la decorazione in legno, marmo o metallo ripete gli elementi dell’emblema filippino: la stella, il cor flammigerum e il giglio. Gli affreschi della volta sono di Pietro da Cortona che nel 1633 dipinse San Michele con Angeli e strumenti della Passione, progettando anche la decorazione a stucchi e le indorature.

Nell’edicola di fondo campeggia la figura di San Filippo Neri e l’angelo nella grande scultura marmorea di Alessandro Algardi realizzata dall’artista nel 1640 su commissione di Pietro Boncompagni.

Negli armadi della sacrestia sono conservati alcuni dei parati più famosi a Roma per i secoli XVI-XVIII: tra gli altri la serie completa realizzata in occasione della canonizzazione del Santo, nel 1622, di dodici parati in seta a lama d’argento con ricami in oro filato, a cui appartiene anche la pianeta che ricopre il corpo di San Filippo, e le pianete di piume policrome, della fine del Seicento, provenienti dalla Congregazione del Messico e create dagli “amanteca”, i mosaicisti di penne, secondo una tecnica antichissima.

Per visitare le Stanze di San Filippo Neri (aperte ogni 26 maggio, anniversario della morte del santo) si percorre dapprima un lungo corridoio accanto alla sacrestia decorato a monocromi con Prospettive architettoniche del Settecento dove si apre una porta, oltrepassata la quale, si entra nella Sala rossa, così denominata per il colore della tappezzeria. In origine questa stanza era la dispensa del convento, poi Francesco Borromini nel 1638 ha provveduto alla sua attuale sistemazione. A lui spetta inoltre la mostra d’accesso alla cappella interna e il pavimento in cotto. Sulla volta della sala ci sono affreschi con Scene dalla vita di San Filippo Neri del 1643 di Nicolò Tornioli e di Ciro Ferri, del 1652, con la Pentecoste di San Filippo nelle catacombe (ovvero la miracolosa dilatazione del cuore di Filippo avvenuta nel 1544). Sono qui raccolte numerose reliquie del santo.

 

Dalla Sala rossa si accede alla cappella interna di San Filippo, che conserva una parte del muro della camera del santo, distrutta nel 1620 da un incendio provocato dal lancio di un razzo da Castel Sant’Angelo. Sull’altare, ornato da colonne e con la volta a lacunari ottagoni in stucco, attribuiti a Pietro da Cortona e a padre Virgilio Spada, è posta la famosa tela del Guercino con San Filippo Neri e l’angelo.

Salendo la scala “a lumaca” ideata da Borromini si giunge al piano superiore dove uno stretto corridoio, decorato con finte prospettive architettoniche a monocromo, introduce all’anticamera e alla Cappellina Privata del Santo, portata qui dopo l’incendio del 1620 per essere ricostruita per intervento di Maruscelli prima (1635), e per opera definitiva di Borromini nel 1639.

Qui si trova una sorta di piccola pinacoteca per l’importanza e la celebrità dei dipinti conservati: nella volta l’affresco di Pietro da Cortona con l’Estasi di San Filippo (1636); sull’altare un altro capolavoro: il celeberrimo quadro di Guido Reni con San Filippo e la Madonna (1614), manifesto e iconografia classica della fama del santo; San Lorenzo di Cecco del Caravaggio; San Giacomo Maggiore di Girolamo Muziano; il Battesimo di Cristo attribuito ad Andrea Pozzo; un piccolo rame di Pietro da Cortona con la Madonna col Bambino e Santa Martina; il Miracolo del cardinale Orsini, futuro papa Benedetto XIII, salvato dal terremoto a Benevento, grazie alla devozione per San Filippo di Pier Leone Ghezzi.

In alcune bacheche di vetro alcuni cimeli del santo: il letto e il confessionale; mentre sull’altare un prezioso tabernacolo conserva il rosario e gli occhiali del santo; si può anche vedere il calco in cera del viso di San Filippo e un trittico bizantino a lui molto caro.

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