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Chiesa SAN CLEMENTE Roma
Questa chiesa è celeberrima per più di una sua peculiare caratteristica: oltre alla successione di strati storici che ingloba nei suoi tre livelli costruttivi, essa è il luogo dove si conserva il più perfetto insieme di arredo ecclesiastico cosmatesco e lo straordinario mosaico absidale fonte a Roma della cosidetta “rinascenza” del XII secolo. Il pavimento – spettacolare sistema di segni ottico-liturgici – è approntato ad imitazione di stuoie, guide e tappeti distesi per le fastose cerimonie sacre con i dischi di marmo posti uno dietro l’altro dall’ingresso alla schola cantorum e all’altare, avvolti nelle spire armoniose del fregio, fino a indicare il grande disco porfiretico “imperiale”, posto a meno di un terzo del suo percorso, dove si focalizzavano tutti gli eventi sacri più importanti. Le sedici colonne antiche lisce e scanalate, di varia provenienza, hanno i capitelli ionici ricostruiti in stucco dal restauro; diversi frammenti di reimpiego dalla chiesa inferiore delimitano la schola cantorum del XII secolo separandola dal presbiterio: il recinto marmoreo con plutei e transenne con monogramma di Giovanni II risalgono al VI secolo. Gli altri elementi cosmateschi sono: i due amboni, il ciborio a quattro colonne di pavonazzetto e tettuccio a colonnine, il candelabro tortile, tutti del XII secolo come la cattedra episcopale addossata all’abside. Ma il capolavoro assoluto è il meraviglioso mosaico absidale datato tra il 1118 e il 1123: il Trionfo della Croce. La composizione, ricchissima e dagli sterminati riferimenti simbolici, si articola a partire da un lussureggiante cespo d’acanto che si dirama a ricoprire interamente il catino con volute, girali e racemi intrecciati a vasi, fontane, piante, animali, volatili, figure umane, scene naturalistiche, i quattro Dottori della Chiesa insieme a gruppi di fedeli. All’apice, nel cielo trapunto di nuvole rosse e blu, il ventaglio, da cui spunta la mano dell’Eterno a coronare il Cristo sulla croce, l’Arbor Vitae che nasce dal virgulto d’acanto, con le dodici colombe poggiate sul suo legno a simboleggiare gli Apostoli e le figure dolenti della Vergine e di Giovanni Evangelista ai suoi lati. Alla base dell’albero-croce sgorgano i quattro fiumi paradisiaci ai quali si abbeverano i cervi di cui parlano i Salmi; più sotto l’iscrizione dedicatoria ed infine la teoria degli agnelli che si dirigono verso l’agnello mistico.
Nei mosaici dell’arcone absidale il Cristo Pantocrator è circondato dai simboli degli Evangelisti, dai santi Lorenzo e Paolo e il profeta Geremia a sinistra, mentre a destra compaiono i santi Pietro e Clemente e il profeta Isaia. Nella navata sinistra, prossima all’ingresso, la cappella di Santa Caterina accoglie i celebri affreschi che Masolino da Panicale (1383-1440) realizzò tra il 1428 e il 1431 con la verosimile collaborazione del suo sodale Masaccio (1401-1428), forse però solo per la magnifica Crocifissione, dal momento che purtroppo per il giovane artista l’afosa e malsana estate romana del 1428 si rivelò fatale. Altri aiuti sono stati evocati per gli affreschi di Masolino a San Clemente: una schiera di nomi tra cui Paolo Schiavo, Paolo Uccello e Domenico Veneziano. Gli ultimi interventi di restauro condotti dall’Istituto Centrale del Restauro hanno liberato gli originari colori, dalla viva luminosità, che il talento di Masolino –caratterizzato da toni soffusi e delicati – ha dato a quella che è ritenuta la più importante decorazione murale organica dell’età nuova prima dell’arrivo del Beato Angelico nella città eterna. Nel 1427 il cardinale Branda Castiglioni titolare della basilica di San Clemente nonché autore, per volere del papa Martino V Colonna, di una riforma dell’Università degli studi di Roma, decide di dedicare una cappellina a Santa Caterina d’Alessandria, patrona degli studenti, e per la sua decorazione incarica Masolino da Panicale che entro il 1431 ricoprirà con i suoi affreschi sia la volta che le pareti. L’artista segue un programma iconografico preciso che tiene conto – secondo il volere di papa Colonna – della preminenza della fede e del sapere teologico riferito agli episodi più significativi della vita della santa, una nobildonna e teologa di Alessandria vissuta nel IV secolo d. C. e martirizzata sotto l’imperatore Massenzio. Sulla parete sinistra della cappella si svolgono, su due registri, le scene a partire dalla prima – ambientata all’interno di un tempio rotondo, probabilmente il Pantheon – che illustra il rifiuto di Caterina, di fronte all’imperatore, di adorare gli idoli pagani; la disputa della santa con cinquanta filosofi di Alessandria; Caterina converte l’imperatrice; il drammatico martirio di quest’ultima ordinato dal marito, l’imperatore Massenzio. Completa questa parte del ciclo pittorico il miracolo della ruota uncinata e il martirio finale subito dalla santa. Alla parete opposta prosegue il programma iconologico di rilancio della patristica e insieme delle antiche basiliche romane voluto da Martino V, primo papa dopo la fine dello scisma d’Occidente, con la narrazione che riguarda appunto uno dei padri della Chiesa occidentale: Sant’Ambrogio e le storie della sua vita, dall’iconografia arcaizzante di sapore neoduecentesco; nella volta gli evangelisti e i Padri della Chiesa, nell’intradosso dell’arcata gli Apostoli.
Ma l’opera più importante di tutto l’insieme è senz’altro la stupenda Crocifissione che campeggia sul muro di fondo della cappella: la drammatica scena – immersa in un magnifico paesaggio montuoso, al cospetto di una folla di personaggi – è dominata dai tre crocifissi che si stagliano su un cielo rannuvolato. Sul Cristo in croce converge un impianto di raggi prospettici provenienti dall’Annunciazione dipinta dall’artista sull’arco soprastante la parete d’ingresso, dove le figure dell’angelo e della Vergine compaiono distanziate alle estremità all’interno di un elegante ed arioso porticato costruito – per la visione dal basso –come una vera e propria macchina scenica dall’unico punto di fuga. Sul piedritto di sinistra, il San Cristoforo dalla robusta figura, oggetto di una speciale venerazione popolare espressa dalle numerose scritte graffite sull’affresco sin dal Quattrocento. La chiesa inferiore, ovvero la basilica paleocristiana a tre navate divise da colonne e preceduta da un nartece, fu eretta alla fine del IV secolo su ambienti romani del III secolo adibiti a mitreo, a loro volta inseriti tra edifici pubblici e privati databili al I e II secolo d. C.; per tutto il Medioevo fu una delle più importanti basiliche di Roma ricca di affreschi e arredi preziosi. Gravemente danneggiata durante il Sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo avvenuto nel 1084 fu interrata per costruirvi sopra l’attuale basilica completata nel 1123. Di questa antica basilica si era persa ogni traccia fino a che gli scavi eseguiti nel 1857 portarono alla luce i due livelli pertinenti sia alla chiesa che al mitreo romano. Scendendo dalla sagrestia per una scala decorata da frammenti di sculture e calchi in gesso provenienti dall’antica basilica e dal mitreo si giunge ad un ambiente di forte suggestione che sebbene abbia la volta assai ribassata (la costruzione dell’attuale basilica troncò la sommità della sottostante), gli intercolumni tamponati e la navata centrale dimezzata per fare entrambi da sostegno alla superiore, conserva pressoché intatta l’atmosfera dell’antica bellezza grazie ai numerosi lacerti di affreschi che dal IX al XII secolo stanno a testimoniare momenti diversi della pittura medievale.
In quello che era il nartece un Cristo benedicente e santi del IX secolo, mentre dell’XI secolo il Miracolo di S. Clemente con, sotto, S. Clemente, il committente Beno de Rapiza e la sua famiglia e la Traslazione delle reliquie di S. Clemente. Nella navata centrale, oltre agli affreschi poco leggibili dell’epoca di Leone IV tra cui un’Assunzione, una Crocifissione, ed altre scene, alla parete sinistra la Leggenda di S. Alessio ha sul registro superiore resti di un pannello con Cristo in trono con angeli e santi e infine la Leggenda di Sisinnio, affresco prezioso per le iscrizioni riportate che sono tra le prime testimonianze del volgare italiano. Nella navata destra, a metà parete, una nicchia con la Madonna in trono con il Bambino; in fondo un sarcofago con Fedra e Ippolito. Nella navata sinistra resti del fonte battesimale. Per una scala in fondo a questa navata si scende al di sotto delle absidi delle due basiliche, superiore e inferiore, per raggiungere le costruzioni romane: il mitreo con tre ambienti: due vestiboli e la schola mitraica, con resti di stucchi e affreschi e un ambiente più ampio – il mitreo vero e proprio – vasta sala dalla volta ribassata con intradosso a superficie scabra di pomice per simulare una grotta. I banconi laterali circondano al centro un’ara marmorea sulle cui facce compaiono a rilievo Mitra che immola il toro, due dadofori e un serpente. Gli altri ambienti romani sono distribuiti attorno a quello che in antico era un vicolo all’aperto ed è possibile vedere una corrente d’acqua appartenente a uno dei numerosi corsi sotterranei della città. Nonostante i rimaneggiamenti tardobarocchi che nel 1713-19 Carlo Stefano Fontana diede all’intero complesso l’organismo romanico della chiesa del XII secolo è esternamente ancora percepibile nel protiro in laterizio a colonne di granito con capitelli antichi e cornice marmorea a intrecci e nel quadriportico a colonne antiche architravate con capitelli ionici, un cui lato fu convertito da Fontana come pronao della facciata strutturata a due ordini con volute e ampio finestrone di raccordo.Anche il campaniletto risale all’intervento settecentesco. Case in autogestione - Accoglienza Roma -Hotel vicino al Colosseo - Alberghi vicino Fiera di Roma - Alberghi e Hotel vicino Stazione Termini di Roma
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