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Conventi e Santuari del Lazio: Convento La Foresta Valle Reatina

Risalendo le alture che a NO circondano la valle reatina lo sguardo man mano si amplia sul paesaggio. Si giunge così – dopo alcune svolte, e dopo l’ultimo tratto della strada scandito dalle stazioni della Via Crucis – un’opera a piastrelle maiolicate di scuola napoletana del XVIII secolo – al Convento La Foresta o S. Maria della Foresta, il cui antico nome è S. Fabiano alla Foresta.

Posto ad una altezza collinare (520 m) fu un piccolo cenobio di memorie francescane: la tradizione vuole infatti che qui il Poverello compose il meraviglioso Cantico di frate Sole; su un’altura un gruppo scultoreo di Lorenzo Ferri lo ricorda.

Francesco vi sostò, ospite del curato, mentre stava avviandosi a Fonte Colombo dove l’aspettavano il cardinale Ugolino Conti e il chirurgo che doveva curargli gli occhi.

I Fioretti narrano che la folla, saputo dell’arrivo del santo e accorrendo per incontrarlo, devastò la vigna parrocchiale, ma per un miracolo operato da Francesco nonostante ciò si ottenne ugualmente un raccolto più ricco del solito.

Il convento sembra originare da questo episodio e a quegli anni (1225-32) risale la consacrazione della chiesa da parte di Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Segni).

 

Dai Fioretti (Cap. XIX)

(…) Allora san Francesco, con grandissima allegrezza, chiamò il compagno et disse: “ Andiamo al cardinale “. Et consolato in prima santa Chiara con sante parole, humilmente accomiatato da lei, prese il suo cammino inverso Rieti.

 

Essendo vicino ad essa, tanta moltitudine li venne incontro che non volle entrare nella città, ma andossene a una chiesa vicina circa miglia due. Sentito questo, i cittadini ad torme correvano ad vederlo, intanto che l’uva della vigna di detta chiesa tutta si mangiava, et ancora si guastavano le viti. Onde il prete in suo cuore molto si doleva, pentendosi aver ricevuto san Francesco in sua chiesa.

Essendoli rivelato da Dio il pensiero del prete, lo fece ad sé venire, dicendoli: “Carissimo padre, quante some di vino ti rende l’anno questa vigna, quando te ne rendesse meglio?”. Disse il prete: “Padre mio, dodici some comunemente mi rende”.

San Francesco disse: “Priegoti che pazientemente sostenga il mio dimorar qui alquanti dì, ch’io truovo molto riposo; et lascia tòrre ad omni persona de l’uve di tua vigna, per amor di Dio et di me poverello. Et io ti prometto da parte di nostro Signor Iesu Cristo ch’ella ti renderà questo anno venti some”.

Questo faceva san Francesco pur di star quivi, per lo gran frutto che si vedeva far dell’anime di quelli che venivano a lui; de’ quali molti si partivano sì inebriati del divino amore che poi abbandonavano il mondo.

Confidatosi il prete della promessa di san Francesco, liberamente la vigna lasciò a quelli che venivano a lui. Maravigliosa cosa è a dire: fu in tutto la vigna guasta et l’uva colta ché non vi rimase niente, salvo alcuni racimoli. Venuto poi il tempo della vendemmia, colse il prete  que’ pochi racimoli et, messi nel tino, li pigia. Et, secondo la promessa di san Francesco, ebbe some venti di ottimo vino. (…)

Ai margini del Bosco Sacro la chiesetta duecentesca di S. Fabiano si apre dopo un portico del secolo successivo. Nell’absidiola, visibile anche dall’esterno, ci sono resti di affreschi del XV secolo, raffiguranti il Salvatore benedicente e santi.

Nel ‘600 la chiesa fu ampliata aggiungendole perpendicolarmente la chiesa di S. Maria che ha alle finestre due vetrate moderne opere di Letizia Giuliani; della stessa autrice sono altre tre vetrate della chiesa di S. Fabiano.

Attraverso il portico, che conserva un affresco cinquecentesco con il Miracolo della moltiplicazione del vino, per una porta si entra nel chiostrino del ‘400, con i suoi archi sostenuti da colonne ottagonali: qui si trovava originariamente la casa del curato che ospitò il santo e la vasca in cui fu pigiato ciò che restava della vigna devastata.

Sul fondo del chiostro una porticina permette l’accesso alla grotta sottostante in cui Francesco si ritirava in solitudine. Secondo la Leggenda perugina (la cui voce narrante è quella di frate Leone) San Francesco compose, insieme alle splendide parole del Cantico delle creature – una delle prime poesie scritte non più in latino ma nella nostra lingua – anche una musica d’accompagnamento raccomandando a frate Pacifico – che prima della conversione era stato il più rinomato fra i cantori profani del suo tempo, addirittura incoronato “re dei versi” dall’imperatore Federico II – di andare in giro insieme ad altri compagni ad intonare il Cantico “ come giullari di Dio”. Questo inno, che Francesco aveva in realtà intitolato Cantico di frate Sole, loda i quattro elementi essenziali per la nascita e lo sviluppo di ogni forma di vita, compresa quella umana: Fuoco, Aria, Acqua, Terra.

 

Altissimo, onnipotente, bon Signore,

tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione.

A te solo, Altissimo, se confano

e nullo omo è digno te mentovare.

Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,

spezialmente messer lo frate Sole,

lo quale è iorno, e allumini noi per lui.

Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:

de te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:

in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.

Laudato si, mi Signore, per frate Vento,

e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo,

per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si, mi Signore, per sor Aqua,

la quale è molto utile e umile e preziosa e casta.

Laudato si, mi Signore, per frate Foco,

per lo quale enn’allumini la nocte:

ed ello è bello e iocondo e robustoso e forte.

Laudato si, mi Signore per sora nostra matre Terra,

lo quale ne sostenta e governa,

e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba.

 

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