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Itinerari religiosi
Roma:Tempietto di San Pietro in Montorio
Opere Bramante:
IL TEMPIETTO DI S. PIETRO IN MONTORIO A
ROMA
Un guerriero imprigionato (di Maria Cristina Giammetta)
Roma è giustamente famosa in tutto il mondo per le maestose e talora immense
basiliche che la rendono unica; come non cedere all’ammirazione restando stupiti
e affascinati – qualche volta senza fiato – al cospetto delle amplissime,
cosmiche navate di S. Maria degli Angeli, di S. Maria Maggiore o della chiesa
regina di Roma, S. Pietro?
Sembrano ideate, create e costruite per un popolo di giganti dai poteri
sovrannaturali.
Esistono invece in luoghi appartati della Città Eterna – e per questo forse poco
noti – veri e propri gioielli in miniatura, opere di geni costruttori i quali,
come sfidati a cimento da esigui e limitati spazi, hanno saputo dar forma a
bellissime architetture che l’ipotetico popolo di giganti terrebbe volentieri
sul palmo delle mani con cura amorevole.
Sulla collina del Gianicolo da cui si domina tutta la
città – visibile da questo luogo quasi a volo d’uccello – si trova S. Pietro in
Montorio (così detto da Mons Aureus per la marna dorata caratteristica del suo
terreno) la chiesa dedicata al martirio dell’Apostolo, che nel cortile al suo
fianco ospita lo straordinario Tempietto del Bramante.
Oltrepassando la porta del convento appare la costruzione, solitaria e
monumentale nonostante le sue piccole dimensioni: suscita nel visitatore un che
di misterioso quel suo aspetto di antico guerriero racchiuso tutto in se stesso,
imprigionato nella sua splendida armatura. Forse si trova lì a guardia di un
segreto, viene da pensare.
Definito “la prosa dei princìpi architettonici di Vitruvio” – poiché Bramante
aveva a lungo studiato sia le opere del grande architetto romano del I secolo
a.C., che le possenti e regali rovine dell’antica Roma – in realtà esso non ha
nulla di teorico né tanto meno di canonico, esprime solamente la felice vena
creativa di un pittore-architetto cinquecentesco, che seppe dare ai suoi edifici
rapporti coloristici di chiaroscuro liricamente accordati e mai visti prima.
L’originale progetto del Tempietto – così come è stato tramandato dagli storici
– prevedeva la realizzazione al suo intorno di un cortile a pianta circolare, a
colonne, con quattro cappelle laterali trilobate che doveva riecheggiarlo,
accogliendolo e insieme avvolgendolo di rimandi di luci e ombre, a luministica
modulazione dello spazio atmosferico circostante.
Ora il piccolo guerriero di pietra appare stretto, quasi prigione dell’angusto
spazio del cortile, e ciò che di lui subito cattura l’attenzione sono le
colonne, le sue forti gambe piantate a corona del minuscolo portico che si
dispongono il luce rispetto alla penombra avvolgente il corpo cilindrico del
guerriero-tempio, risaltando sul vano d’ombra della porta d’entrata e delle
finestre.
L’intera robusta costruzione è sottolineata e nello stesso
tempo alleggerita dallo sporgere delle cornici e soprattutto dalla balaustra
disposta con rigore simmetrico, ma dal chiaro effetto luminoso, pronta a
ripetere il ritmo delle sottostanti sedici colonne tuscaniche che sostengono la
trabeazione.
Il tamburo che da questa emerge, scandito da nicchie rettangolari alternate ad
altre in forma di conchiglia - le une e le altre separate da paraste – sorregge
la calotta della cupola percorsa da nervature appena accennate, come un elmo
leggero posato sul capo del nostro immaginario guerriero.
Il lanternino che ne orna l’apice sembra dare l’illusione – per la sua grandezza
– che il tempio sia più basso di quel che in realtà è, confermando l’intenzione
dell’autore di rendere solido e possentemente stabile il Tempietto.
Nonostante ciò l’insieme trasmette tutto il pacato equilibrio di forme classiche
raccolte e conchiuse, appena agitato e pronto a risolversi in una più mossa e
ardita soluzione, presagio delle ideazioni del futuro barocco.
La “pittorica corposità spaziale” di Bramante rappresenta l’anello di
congiunzione alla geniale “bizzaria” di Borromini.
Bramante che costruì quest’opera nel 1502 – nel pieno della sua maturità
artistica – fu infatti un innovatore e sperimentatore del suo tempo.
Cresciuto nell’atmosfera magica d’Urbino (nei cui dintorni era nato nel 1444),
dove la corte dei Montefeltro – mecenati dei più grandi artisti dell’epoca come
Paolo Uccello e Piero della Francesca – era tutto un fervore d’opere a cui
senz’altro il giovane Bramante aveva assistito, diede presto avvio e alimentò la
sua propensione per gli studi di pittura e architettura.
Poi a Milano l’amicizia con Leonardo, che lo chiamava
affettuosamente Donino, gli aveva dato la passione per la ricerca e l’arditezza
a inconsuete soluzioni, che sarà alimentata successivamente a Roma – vi giunse
nel 1499 – dallo studio e l’ammirazione per l’antica arte architettonica romana.
Vasari ci narra come vagasse per Roma libero di pensieri pratici, solitario,
cogitativo, trovando le rovine spoglie, maestose e severe. Esse furono la sua
fonte e la scintilla che animò la sua creazione d’architetto, qualche volta
anche poeta.
Donato Bramante amava le belle lettere, Dante in
particolare; delle sue prove liriche sono rimasti ventitré sonetti, uno dei
quali dice così:
“Come il tempo si muta in un momento si muta il pensier mio che gli è
seguace” rivelandoci una mente pronta al cambiamento e al nuovo, libera da
convenzionali suggerimenti e costrizioni dogmatiche, come fu la sua
architettura.
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