Convento della Verna: Il ciclo Robbiano
Alvernino
Il convento della Verna dunque rappresenta un
luogo fondamentale per comprendere la diffusione dello stile di vita francescano
e tuttora è meta non solo di visite devozionali ma offre all’ammirazione del
visitatore la possibilità di conoscere uno dei più importanti insiemi di una
forma d’arte che un tempo ebbe molto successo.
Si tratta delle famosissime terrecotte invetriate
di Andrea della Robbia (1435-1525) che qui sono presenti con sette splendidi
capolavori autografi (l’Annunciazione, l’Incarnazione, l’Ascensione con San
Francesco e Sant’Antonio abate entro nicchia, nella Chiesa Maggiore; la Madonna
della cintola in Santa Maria degli Angeli e la Crocifissione della Cappella
delle Stimmate; le altre opere, sia dossali d’altare che altre più piccole
terrecotte presenti alla Verna, anch’esse molto belle, vanno però considerate
realizzazioni di continuatori della sua rinomata bottega.
Del ciclo robbiano alvernino parla anche Vasari
nelle Vite, commentando così: “Similmente nella chiesa ed in altri luoghi del
sasso della Vernia fece molte tavole, che si sono mantenute in quel luogo
deserto, dove niuna pittura né anche pochissimi anni si sarebbe conservata”.
È infatti proprio la qualità specifica delle
terrecotte invetriate – al di là della loro indiscussa e così singolare bellezza
– a conferire loro la possibilità di mantenersi inalterate nel tempo in un luogo
di montagna umido e freddo che avrebbe senz’altro resa vana con il passare degli
anni – e dei secoli – la lettura di un normale affresco.
Rispetto poi alle sculture di marmo le pur
grandiose pale realizzate con questa tecnica avevano il pregio di poter essere
facilmente trasportate a settori che venivano poi ricomposti nella sede
definitiva, potendo sopportare così anche lunghi viaggi.
Molto probabilmente l’artista e i suoi committenti
nell’avviare questo importante ciclo seguirono un preciso programma iconografico
dettato da una figura influente dell’Osservanza, forse Pier Paolo Ugurgieri,
eletto in quegli anni due volte (1468, 1472) guardiano del convento.
Confermerebbe questa ipotesi la successione cronologica delle pale e una logica
successione iconografica che intreccia episodi della vita di Cristo alle
tematiche francescane.
Di questa ricca serie di tavole invetriate la più
antica, risalente al 1475, è l’Annunciazione voluta per l’altare della propria
cappella nella Chiesa Maggiore dalla famiglia fiorentina dei Niccolini; segue
l’Incarnazione, del 1479, commissionata dai Brizi di Pieve santo Stefano, che fa
da pendant alla prima alla destra del transetto. L’Annunciazione Niccolini (cm
210x210) è racchiusa in una struttura architettonica di finissima fattura ornata
con decori classici. Dal fondo – il cielo di intenso azzurro –emergono le
magnifiche figure della Madonna e dell’Angelo dai volti bellissimi, prerogativa
della mano del maestro. Andrea della Robbia ha qui voluto fermare il momento in
cui l’angelo in preghiera attende la risposta della Vergine.
Nell’Incarnazione Brizi la scena è più affollata
di figure: la gloria degli angeli circonda l’Eterno meravigliato mentre rivolge
lo sguardo al Bambino adorato dalla madre. Questa pala si sviluppa maggiormente
in verticale (cm 240x180) rispetto alla precedente e mostra un architrave dove
sono applicati a ornamento dei cherubini alati.
Nella pala creata per l’altare maggiore di Santa
Maria degli Angeli – l’Assunta che dona la cintola a san Tommaso fra i santi
Gregorio, Francesco e Bonaventura, datata 1485, – sono ripetute le soluzioni
formali e l’impianto delle pale degli anni settanta con la sola aggiunta di un
maggiore sviluppo verticale (cm 388x236).
La scelta innovativa della tipologia a slancio
verticale, realizzando una pala unitaria con un’unica scena grandiosa, è
inaugurata da Andrea della Robbia con l’imponente Crocifissione Alessandri del
1480-‘81.
Quest’opera eccezionale – anche per dimensioni,
(cm 600x420) – occupa per intero la parete di fondo della Cappella delle
Stimmate. Un doppio fregio con teste alate e mazzi simmetrici di foglie e
frutti, delimitato verso l’interno dalla corda a nodi dell’Ordine francescano,
racchiude la sacra rappresentazione.
Le figure a grandezza naturale hanno tutte una
straordinaria espressività che solo la mano del maestro era in grado di
garantire: basta poi osservare le due bellissime teste-maschere del sole (che
con i suoi raggi evoca la testa di medusa) e della luna che esprimono
efficacemente tutta la tragicità dell’evento a cui stanno assistendo.
L’ultimo importante lavoro eseguito personalmente
da Andrea della Robbia per il convento della Verna è l’Ascensione (cm 457x308),
realizzata intorno al 1490 per l’altare maggiore della Basilica e trasferita nel
1601 nella Cappella Ridolfi, la prima a sinistra verso il presbiterio: con ogni
probabilità però questo lavoro fu commissionato all’artista dalla famiglia
Medici e non dai Ridolfi.
Alcune discontinuità stilistiche – nella
modellazione delle teste degli apostoli e della Vergine come nella resa più
secca e monotona dei panneggi – lasciano comunque pensare che il maestro,
occupato in quegli anni con altri lavori, si sia avvalso di un collaboratore per
portare a termine la pala.
Di fronte alla Basilica, passando per una porta di
ferro si raggiunge la cappella della Maddalena. Conosciuta come “la prima cella
di san Francesco” fu fatta costruire tra la fine del XIV secolo e gli inizi del
XV dalla contessa Caterina Tarlati sul luogo dove era la primitiva cella in
legno che Francesco occupava quasi sempre quando veniva alla Verna.
Scendendo da qui le scale si arriva ad un altro
punto straordinario di questo luogo straordinario: il Sasso Spicco.
Si tratta di una profonda gola aperta nella roccia
che presenta nella parte inferiore un antro parzialmente coperto da un masso
sospeso perché quasi del tutto staccato dal monte. Un evento geologicamente
violento, forse un terremoto, ha prodotto un simile spettacolare risultato.
Il clima rigido della montagna consentiva ai primi
romiti solo una presenza temporanea limitata ai mesi estivi. Sant’Antonio da
Padova ad esempio, trascorse qui un periodo di preghiera tra il giugno e
l’ottobre del 1230. Quando S. Bonaventura, già ministro generale, abitò su
questo monte tra il settembre e l’ottobre del 1259, erano da poco iniziate le
costruzioni più solide che consentirono poi ai frati una permanenza continua.
Nel 1267 furono costruite cinque celle – l’eremo
delle Stimmate –, dove oggi è un giardino a fianco del corridoio omonimo, per i
frati che erano incaricati di custodire la cappella e sovrintendere alle
celebrazioni che la riguardavano. Fu operante fino al 1431.
Nel folto della foresta che circonda il santuario
è possibile visitare dei luoghi che fanno rivivere l’atmosfera di solitudine che
i romiti vivevano.
Una scalinata porta sul monte della Penna (dove
c’è una cappellina); prima, è ancora presente sotto forma di cappella, il posto
dove c’era la capanna che fu l’abitazione per circa trent’anni del Beato
Giovanni da Fermo, detto della Verna per la sua lunga permanenza nell'eremo (a
lui sono dedicati gli ultimi cinque capitoli dei Fioretti). La cappella del
Faggio invece era il luogo dove un faggio fungeva da altare per il beato.
Il masso di frate lupo – un enorme sasso
staccatosi dalla montagna – è legato alla leggenda di un bandito, chiamato per
la sua ferocia Lupo, che qui relegava le sue vittime per chiederne il riscatto;
divenne poi il mite fra’ Agnello quando, convertitosi, entrò nell’Ordine.
Numerose sono poi le leggende che coinvolgono gli
animali, i timidi ed elusivi abitatori delle selve qui intorno. Ad esempio si
racconta, che quando Francesco salì la prima volta sulla Verna, ad un certo
punto del faticoso percorso si appoggiò per riposare ad una quercia; allora un
gran numero di uccelli venne ad accoglierlo cinguettando. La cappella degli
Uccelli, costruita nel 1602 sul posto della secolare quercia, s’incontra infatti
all’inizio dell’antica mulattiera.
Ma la leggenda più tenera e delicata è quella che
narra di come i frati (che dal 1431 fanno ogni giorno alle 15 – un tempo anche
di notte – una processione dalla Basilica alla cappella delle Stimmate) una
volta, a causa di una fortissima bufera di vento e neve, non poterono recarsi a
pregare nella lontana chiesetta. La mattina seguente, con grande sorpresa,
trovarono lungo il percorso – il corridoio delle Stimmate, che in antico era
all’aperto – le diverse orme lasciate sulla neve dalle piccole creature del
bosco, che avevano nottetempo compiuto, silenziosi e furtivi, la processione al
loro posto.
Su questo monte – vero e proprio nido di falchi –
fu appunto un falco che si materializzò accanto a Francesco quando era in
preghiera sull’impervio sperone di roccia dove ora è la cappella della Croce. Si
appollaiò e fece compagnia al Poverello.
Nel convento sono inoltre presenti una cospicua
biblioteca, un osservatorio meteorologico ed un interessante museo nel quale, in
cinque ampie sale quattrocentesche sono esposti corali, crocifissi, reliquari,
paramenti e vasi sacri dei sec. XV e XVI; nonché storte, alambicchi, vetri di
Murano e ceramiche appartenenti ai laboratori alchemico-farmaceutici del
convento.
Dei cinque chiostri presenti quello centrale,
cinquecentesco, e i due della Foresteria interna sono i più interessanti
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