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IL MUSEO
Il museo realizzato dal monastero comprende
diverse importanti opere legate alla figura della Beata Camilla Battista.
Il bambinello
prodigioso
Inizialmente abbigliato con una veste
settecentesca, agghindato con una vistosa corona e altri monili e con
delle singolari scarpe metalliche, che completavano il suo corredo “da festa”,
il Bambinello è stato fino ad oggi offerto all’ammirazione dei fedeli
sull’altare della chiesa di Santa Chiara il giorno dell’Epifania, divenendo,
solo in quest’occasione, l’oggetto centrale di un rito: ogni devoto può baciare
il volto del Bambinello in segno di adorazione. In seguito al restauro la
statua è stata esposta in una teca per essere offerta alla vista di tutti i
turisti. Il piccolo Gesù, con ancora alcune tracce di doratura tra i capelli, è
rappresentato completamente nudo, con la bocca semiaperta e gli occhi fissi
sullo spettatore, mentre porta il suo indice destro al mento e abbassa la mano
sinistra verso il ventre. Oltre a essere una delle opere più rappresentative
della scultura lignea camerte del Rinascimento, anche per il suo carattere
d’unicità, il Bambinello dì Santa Chiara è inoltre particolarmente importante
perché legato alla straordinaria figura della beata Battista attraverso una
singolare leggenda, tramandata solo da racconti orali. Durante una delle sue
esperienze mistiche, la beata avrebbe interloquito col Bambinello ligneo,
chiedendo di avere in dono l’anellino che egli portava all’indice della mano
destra. Per impedire che la beata lo privasse del suo monile, Gesù portò il
ditino al mento, rendendo impossibile l’asportazione dell’anello alla fine
della visione. Pur essendo intrinsecamente legato a questa leggenda, il gesto
del dito sul mento va interpretato come un segno di silenzio, signum
harpocraticum, che la statua della divinità egizia Arpocrate compiva
sull’ingresso dei templi, per richiamare al silenzio i visitatori. Nell’arte
cristiana questo gesto viene recuperato, molto spesso come attributo di Gesù
Bambino, il quale, in numerose raffigurazioni di Presepi, è rappresentato
proprio mentre chiede di essere adorato in silenzio. Nel caso del Bambinello
della beata, il gesto acquista particolare rilevanza perché la vita claustrale
francescana è cadenzata da lunghi momenti di silente meditazione.
Un’altra costante tradizione, anch’essa comunque tramandata solo per via orale,
vuole inoltre che il Bambinello ligneo sia stato regalato alla beata
Battista dal francescano beato Pietro da Mogliano, suo padre spirituale tra
il 1484 e il 1490 (anno della morte di quest’ultimo). Nel caso tale memoria
potesse essere in qualche modo considerata attendibile, anche per la specifica
importanza che il culto del Bambinello aveva nella tradizione e nella pratica
devozionale francescano-clariana, la leggenda fornirebbe un importante termine
di datazione per il manufatto, dal momento che esso potrebbe essere stato
donato, e quindi realizzato, negli anni in cui il beato Pietro era padre
spirituale della suora.
Crocifisso che parlò alla beata
Il Crocifisso, appartenuto alla beata Battista,
al secolo Camilla da Varano (1458-1 524), figlia di Giulio Cesare, è stato
recentemente restaurato per essere riportato al suo originario splendore. Il
sangue sgorgato dalle ferite della corona e dal taglio del costato è reso
mediante una resina colata o semplicemente attraverso il colore. Anche se è
difficile cogliere appieno le qualità della scultura, l’artista ha posto una
certa attenzione ad alcuni dettagli, come ad esempio al livido creato intorno
alla ferita del costato. Specialmente se guardato dal basso verso l’alto, cioè
cercando di riprodurre le originarie condizioni di fruizione dell’opera, che la
religiosa osservava con ogni probabilità mentre era inginocchiata, il
Crocifisso, rivela una straordinaria carica drammatica, ottenuta dallo scultore
non solo attraverso l’espressione dolente del volto, trasformato quasi in una
maschera tragica solcata da copioso sangue, ma anche mediante la calibrata
scarnificazione degli arti, le cui giunture sembrano essere volutamente
ingrandite, al fine di far risaltare, per contrasto, i tendini e l’eccessiva
magrezza dei muscoli, tesi nel trapasso finale.
Un espressionismo di questo tipo, che trova
comunque confronti solo con alcuni Crocifissi tedeschi prodotti tra XV e XVI
secolo (anche nel territorio umbro-marchigiano), è tuttavia straordinariamente
funzionale alle esigenze devozionali dei religiosi francescani che, meditando
sul tema della Passione, amavano rapportarsi con immagini particolarmente
cruente. Nella sua autobiografia, la Vita Spirituale scritta nel 1491, la
beata Battista dichiara infatti di essersi inginocchiata per molti anni di
fronte a un Crocifisso, sforzandosi di produrre almeno una lacrima al giorno,
in memoria dei patimenti subiti da Cristo. Anche se non siamo sicuri che si
tratti della stessa opera esposta in mostra, visto che l’episodio riferito
dalla beata risale a prima della sua consacrazione, avvenuta nel 1481, il
racconto testimonia non solo le modalità di utilizzo dell’immagine del Cristo
crocifisso nella meditazione privata, ma anche la specifica funzione che simili
oggetti avevano presso i francescani, cioè quella di provocare un’intensa
commozione nella coscienza del devoto.
Crocifisso della
Chiesa
Ricavato da un unico tronco di legno di noce, a
esclusione delle due braccia assemblate al corpo, il Crocifisso di Santa Chiara
di Camerino, sembra essere effigiato nel momento esatto del trapasso, col volto
agonizzante, reclinato leggermente verso sinistra, con gli occhi semiaperti da
cui sgorgano lacrime di resina e con la bocca dischiusa, marcata da labbra
livide, oltre le quali s’intravedono la dentatura bianca e la lingua. La corona
di spine è realizzata con tre corde intrecciate, ingessate e dipinte di verde,
sulle quali sono state applicate delle vere spine di biancospino. Il corpo
eburneo del Cristo, elegantemente tornito nelle muscolature, è coperto
sull’inguine da un candido perizoma, decorato “a pennello” con fiori di cardo
stilizzati. Sulle gambe, sul torso e sulle braccia lo scultore ha realizzato
delle vene a rilievo, che sono state poi evidenziate in alcuni casi attraverso
un leggero tratto di colore. Nel 1489 la bottega di Domenico Indivini era al
lavoro per le clarisse di Camerino nella realizzazione di quel coro che, per
qualità esecutiva e complessità iconografica, dobbiamo considerare secondo
solo a quello della basilica superiore di Assisi. Non può essere esclusa dunque
la possibilità che la realizzazione del coro di Santa Chiara sia stata anche
l’occasione per ricevere la commissione del Crocifisso, da porre sull’altare
maggiore della chiesa.
Coro ligneo
Il Coro
ligneo del convento di Santa Chiara a Camerino è realizzato da Domenico Indivini,
che lo firma e lo data nel 1489. Recentemente
restaurato
risulta formato da 29 stalli nell’ordine
superiore e 16 in quello inferiore.
Quelli dell’ordine superiore constano
di due specchi intarsiati, uno di
dimensioni maggiori sviluppato in
orizzontale, contornato da una cornice
liscia, l’altro più piccolo e di andamento orizzontale, che funge
da postergale e che è analogo ai
postergali che ornano gli stalli inferiori. Ogni stallo è separato dal successivo
da imponenti braccioli trilobati,
abbelliti da pomelli e da semplici
fiancate costituite da una voluta
scanalata, decorata da un rosoncino
intagliato nell’occhiello. La
trabeazione ripristinata in seuigo t al restauro,
sorretta da mensole a volute, riporta a
tarsia la bella iscrizione
di dedica “ORANTES ANCILLE DEI MEMENTOTE MEI. OPUS DOMINICI
SEVERINATIS 14x9”, con la quale
Indivini, nel momento stesso in cui
tramanda il proprio nome e la memoria dell’opera da lui compiuta, invita
le suore a ricordarsi di lui nella
preghiera. Fin da subito il coro è
stato ricondotto alla committenza di Giulio
Cesare Varano, il cui stemma e monogramma
compaiono in tre degli specchi
intarsiati maggiori.
Accanto a
motivi decorativi prevalentemente
composti da vasi con cornucopie,
delfini e uccelli e al monogramma di
Gesù, compaiono figurazioni che si trovano esclusivamente nell’opera camerinese e sono state interpretate
alla luce degli scritti della beata
Battista Varano, badessa del monastero e grande personalità di mistica
e scrittrice.
Le
immagini più volte replicate del calice con i
simboli della Passione - croce, corona di
spine, chiodi, corde, flagello, lancia
e spugna -, del vaso di fiori con tre gigli, del cuore di Gesù legato da corde e
sovrastato dai medesimi simboli del suo
supplizio, risultano come
l’espressione figurata delle ardenti parole profuse dalla beata in opere come i
Dolori mentali di Gesù
e la Vita Spirituale, per
descrivere le proprie esperienze religiose, dominate
dalla devozione a Cristo e dalla condivisione nella propria carne dei
dolori patiti dal Redentore.
Il
coinvolgimento in prima
persona di Giulio Cesare Varano e della
figlia è comprovato da una quietanza di
pagamento effettuata l’11 luglio
1488 dal sindaco di Santa Chiara per 120
ducati, incassati dietro
autorizzazione di Varano e in parte
versati da sor Baptista, ed esplicitamente destinati
alla realizzazione del coro “da farsi” nel
monastero.
Domenico Indivini,
realizza a Santa Chiara un’opera
monumentale per l’imponenza del
materiale e delle forme, solide e semplici,
e classica per il rigore geometrico
della struttura, per la grammatica
anticheggiante delle paraste, dei capitelli
corinzi e della trabeazione, che lo
rende a quella
data “forse il più aulico oggetto ‘all’antica’ della città”.
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