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Cosa vedere e visitare a Roma S. CARLINO ALLE QUATTRO FONTANE
Dedicata a S. Carlo Borromeo è un gioiello barocco di sensazionale bellezza che i romani chiamano S. Carlino per le sue piccole dimensioni: più o meno equivalenti a quelle di uno dei piloni che sorreggono la cupola di S. Pietro. Posta sul colle del Quirinale adiacente al quadrivio composto dalle vie Quattro Fontane – Agostino Depretis – del Quirinale – XX Settembre sistemato da papa Sisto V con le fontane dei Fiumi ai quattro angoli dell’incrocio, è il capolavoro di Francesco Borromini. I padri Trinitari Spagnoli, che si erano stabiliti ai primi del Seicento in questo luogo, incaricarono della costruzione della loro chiesa e dell’annesso convento l’architetto ticinese che si occupò di quest’opera per tutta la vita. Il cantiere infatti si aprì nel 1634 per chiudersi definitivamente nel 1667 anno della morte di Borromini. I bellissimi disegni che documentano lo svolgersi dei lavori con le correzioni e l’evoluzione del progetto sono conservati nella biblioteca viennese dell’Albertina.
La splendida facciata – completata dal nipote di Borromini, Bernardo, dopo la morte dello zio seguendo le sue indicazioni nei progetti – è come un respiro che si alterna tra il concavo e il convesso, l’ellisse e l’ovale, ad imprimere con il suo andamento curvilineo una rotazione su se stesso all’edificio. All’interno lo spazio, delineato dall’intersezione di un rombo e di un’ellisse, sembra avvitarsi verso l’alto, su, fino a condurre lo sguardo verso la cupola ovale decorata con un cassettonato composito, dove esagoni, ottagoni e croci si incastrano tra loro in cerchi concentrici che vanno man mano riducendosi di dimensioni verso il lanternino, creando un effetto molto suggestivo e suggerendo l’impressione di trovarsi di fronte uno spazio maggiore che non in realtà. Sui pennacchi sono posti quattro rilievi in stucco racchiusi entro cornici e circondate da tre puttini. Raffigurano episodi della vita del fondatore dell’Ordine. Tutte le soluzioni decorative interne sono di grande raffinatezza, volute dallo stesso Borromini e realizzate con stucco bianchissimo per rendere una tonalità particolarmente luminosa che richiami alla mente del fedele la Luce Divina. Questa chiesa oltre che bellissima è anche molto misteriosa: chi vi si trova all’interno ha l’impressione di trovarsi in un organismo vivo che respira ed abbraccia il visitatore coinvolgendolo nella dilatazione e compressione dello spazio che questa straordinaria architettura suggerisce.
Sono due i dipinti di rilievo presenti: sull’altare maggiore la pala con i Ss. Carlo Borromeo, Felice di Valois e Giovanni de Matha in adorazione della Trinità, del pittore francese Pierre Mignard (1646) e nella sagrestia S. Carlo Borromeo in adorazione della Trinità, del caravaggesco Orazio Borgianni (1612). Assolutamente da non trascurare la visita all’adiacente chiostro, anch’esso gioiello perfetto del grande architetto ticinese. Un artista del nostro tempo, Toti Scialoja, dice:” in Borromini lo spazio è un grande alveare; in ogni cellula si deposita un po’ di miele di tutte le cose. Cosmicità ed essenzialità. Rapporto organico con le sostanze segrete, le linfe”. Ciò appare particolarmente vero nell’angusto spazio del chiostro di S. Carlino, dove il maestro di Bissone realizza felicemente, lievemente asimmetrico, un quieto luogo dalle fascinose luci e ombre, prospettivamente modulate da una elegante architettura di eccellenza orafa, un piccolo gioiello vibrante, minutamente niellato come un merletto raro e delicato, presagio dell’intera geniale opera dell’artista ticinese. L’originale forma rettangolare dello spazio a disposizione viene plasmata da Borromini in ottagono (segno cosmico di equilibrio e simbolo di vita eterna) creando armoniosi contrasti di spazi vuoti dovuti alle colonne binate e brevi superfici convesse alternate alle piane e rettilinee; ottenendo una dinamica ritmica inaspettata e inconsueta, eco di un musicale intervallo.
Le agili colonne dai capitelli ottagonali del piano superiore proseguono con il loro segno leggero la forte traccia delle colonne doriche del portico. Le balaustre dei lati corti, dalla lieve ma coerente inflessione – perché di richiamo alla sagoma convessa appena accennata dei pennacchi sottostanti – hanno le fuseruole triangolari alternate, con la base ingrossata in basso e poi in alto, da cui viene catturata e filtrata mirabilmente la luce rendendo ancora più aerea e delicata la loggia. Al centro dell’incantevole spazio, un pozzetto – anch’esso di forma ottagona – ha l’aspetto di una piccola gemma incastonata in un monile prezioso dai contorni dolcemente smussati e dagli evanescenti riflessi, forse un ricordo della lacuale terra natale dell’artista sublimato in opera d’arte. E’ la ricerca della luce, anche nel senso di Luce ambita dall’anima, alla base di questo capolavoro dalle linee prodigiosamente perfette - nunzio dell’esplosione del talento borrominiano e all’origine della rivoluzione stilistica operata dal più grande architetto del barocco romano - concepito dal maestro negli anni che vanno dal 1635 al 1644, come sua prima opera autonoma, senza peraltro voler percepire per esso e per il progetto della annessa chiesa di S. Carlino alcun compenso. Sono gli anni a Roma del processo a Galileo da parte dell’Inquisizione e questa “piccola” opera sembra raccogliere in sé e suggerire tutto il fervore sperimentale e innovativo del secolo.
Borromini ne ebbe commissione dai Padri Trinitari Scalzi spagnoli, che vollero la realizzazione di una chiesa e di una casa per il loro ordine e che il giovane architetto riuscì – nel pur esiguo spazio a disposizione (la chiesa di S. Carlino ha la stessa superficie di uno dei piloni della cupola di S. Pietro) – a creare probabilmente nel momento più felice e luminoso della sua non facile vita. Come luminoso, limpido, essenziale e splendido appare oggi a chi voglia visitarlo. Un recente ottimo restauro, che sarebbe probabilmente gradito al grande maestro, ha restituito l’originale abbagliante bellezza ad un luogo d’irripetibile radiosa armonia, dove possiamo immaginare di sentire pronunciare da Borromini stesso – grande poeta oltre che eccelso architetto – le parole:” la vera opera è illuminata solo dalla luce del cuore e del cielo. Non ha bisogno di oro o di altro preziosismo”. Proprio come qui, dove la luce assume addirittura una propria funzione costruttiva nella nuova concezione dello spazio plasmabile e dinamico.
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