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CHIESA SANTA MARIA IN TRASTEVERE e i mosaici di Pietro Cavallini
La bella piazza di S. Maria è senza dubbio la più frequentata di Trastevere: qui intorno all’antichissima fontana si raccolgono le persone più eterogenee, cittadini turisti, semplici passanti. Nel 38 a.C. un getto d’olio fuoriuscì dalla terra e questo prodigio fu più tardi interpretato come la prefigurazione dell’avvento di Cristo. Nel III secolo, qui, nella domus ecclesiae, vi celebrava papa Callisto(217-222), poi nel quarto secolo papa Giulio I (337-352) vi fece edificare la prima chiesa di Roma dedicata alla Vergine. Papa Innocenzo II (1130-1143) ricostruì l’edificio dalle fondamenta che fu completo nel 1148. Divenne nel tempo una delle chiese più belle e riccamente decorate della città, celebre soprattutto per i suoi splendidi mosaici, continuamente abbellita fino al purtroppo infelice restauro sotto il pontificato di Pio IX. La facciata del XIII secolo, che fu rimaneggiata nell’Ottocento, conserva dei mosaici coevi che raffigurano La Vergine in trono col Bambino e due teorie di sante. Nel 1702 Carlo Fontana realizzò il portico e modificò la parte alta della facciata: il campanile romanico porta nell’edicoletta al suo sommo un mosaico della Madonna col Bambino di cui è incerta la datazione non si sa infatti se coeva alla torre campanaria del XII secolo o frutto di un restauro secentesco.
All’interno del portico sono conservati bellissimi frammenti di plutei e transenne dell’antica basilica e una ricchissima collezione di epigrafi tra cui la lastra tombale di Innocenzo II con il cippo che ne conteneva le ceneri. L’interno, a tre navate con transetto, si presenta grandioso per la presenza delle ventidue colonne di granito provenienti dalle Terme di Caracalla dagli splendidi capitelli ionici con curiosi simboli egittizzanti. Il pavimento in stile cosmatesco è stato completamente rifatto dall’architetto Virginio Vespignani nel corso dei restauri ottocenteschi. Il soffitto a lacunari lignei risale al 1617 ed è stato disegnato dal Domenichino, che ha dipinto anche l’Assunta nell’ottagono centrale. I restauri dell’Ottocento hanno riguardato anche il presbiterio e il ciborio mentre nell’arco absidale e nel catino è conservato pressoché intatto il preziosissimo ciclo musivo coevo alla ricostruzione del 1148. Nel catino Cristo in trono con alla destra Maria coronata ha a sinistra i santi Callisto, Lorenzo e papa Innocenzo II che presenta il modellino della chiesa, a destra i santi Pietro, Cornelio, Giulio e Calepodio; al disotto scorre la tradizionale teoria di agnelli che convergono al centro verso l’Agnello mistico. Sull’arco dell’abside profeti e simboli degli Evangelisti. Se sei alla ricerca di un albergo e di una sistemazione in Roma visita la pagina Prenotazione alberghi hotel Roma
Tra le finestre e l’abside si trovano i mosaici più importanti dell’intero ciclo musivo con le Storie della Vergine che Pietro Cavallini eseguì nel 1291, su commissione del dotto cardinale Bertoldo Stefaneschi, il quale dettò personalmente l’iscrizione metrica a commento degli episodi raffigurati. Questi sei riquadri rappresentano la più grande opera giunta fino a noi dell’artista. Anteriore al Giudizio Universale di Santa Cecilia di circa tre anni, sono un’efficace espressione della maturità raggiunta da Cavallini già a questa data, le cui innovazioni avranno poi un’esplosione nell’opera di Giotto. Nelle architetture degli edifici, nei troni, nei baldacchini è evidentissimo l’accurato studio dell’elaborazione prospettica, molto probabilmente suggerita all’artista dall’osservazione delle pitture, mosaici e tarsie di età classica e tardo classica che all’epoca di Cavallini erano certamente ancora visibili tra le antiche rovine e che simulavano prospettive a trompe-l’oeil. Le figure, anch’esse ispirate all’arte classica, hanno un aspetto statuario e si richiamano fortemente allo stile dell’altro grande artista del periodo con cui Cavallini lavorò fianco a fianco in Santa Cecilia e in San Paolo fuori le mura: Arnolfo di Cambio, realizzatore di raffinatissimi cibori. S. Maria in Trastevere è ricchissima di opere d’arte tanto da farne un vero e proprio museo di ogni tipo di forma d’arte a Roma.
Due cappelle in particolare sono interessanti da osservare: la cappella Altemps, a sinistra dell’abside, che conserva un oggetto sacro unico nel suo genere, la Madonna della Clemenza, una delle più antiche icone oggi esistenti poiché risale al VI secolo, e la cappella Avila, la quinta a sinistra dell’ingresso. Quest’ultima è stata definita un “teatrino sacro” per le sue deliziose forme tardobarocche. Ideata da un artista poco noto del tardo Seicento romano, il pittore Antonio Gherardi, è un piccolo tesoro nascosto che pochi conoscono. Originario di Rieti, dove nacque nel 1644, giovanissimo – appena quattordicenne –Gherardi venne a Roma dove divenne allievo di Pietro da Cortona. Nel 1678, quando la sua carriera di pittore era ormai avviata e promettente, accetta di ristrutturare come architetto la cappella della famiglia Avila per volere di Pietro Paolo, l’ultimo discendente. Girolamo Avila, avo della famiglia, aveva acquistato nel 1584 la cappella in S. Maria in Trastevere dove con lui erano sepolti il padre Diego, suo nipote Giacomo e la moglie di quest'ultimo Girolama Cecchini. Pietro Paolo era figlio di Giacomo e decidendo un rinnovamento si rivolge a Gherardi. L’artista, conoscitore profondo dell’arte sia di Borromini che di Bernini, realizza un insieme molto particolare, un “teatrino sacro” appunto, ispirandosi ai suoi illustri maestri.
Una piccola galleria prospettica (reminiscenza della celebre Galleria Spada borrominiana) campeggia al centro della parete di fondo della cappella, valorizzando il quadro con san Girolamo dal Gherardi stesso dipinto nel 1686. Due nicchie concave poste ai lati ospitano i sepolcri dei membri della famiglia: a sinistra Diego e Girolamo, a destra Giacomo e sua moglie. Fanno da elegante cornice edicole dotate di coppie di colonne dai capitelli ionici. In alto, racchiusa nel timpano, un’aquila ghermisce con gli artigli lo stemma degli Avila, due rami di palma incrociati. Ma la più sorprendente invenzione di tutta l’opera è senz’altro la cupoletta al centro della volta dalla quale sporgono quattro angioletti in stucco che sembrano portare volando una lanterna su cui posa un secondo cupolino sospeso nel vuoto con la colomba dello Spirito Santo al centro.
Questo insieme affascinante – non pomposo come può esserlo il Barocco più altisonante, anzi pieno di grazia “popolare” – è costruito con lo scopo di ottenere un preciso effetto luminoso, un contrasto tra la penombra della cappella e la luce esterna. Ispirato forse alla lanterna berniniana di Sant’Andrea al Quirinale o a qualche altra scenografia sacra ideata dall’eclettico scultore-architetto, crea una suggestione molto originale.Tour operator turismo religioso - Visitare Roma in due giorni - Hotel con vista Roma -Alberghi vicino al Foro Italico -A Roma con bambini
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