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Visitare Assisi: itinerario francescano LA PORZIUNCOLA E SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Al principio del ‘200 la località detta Porziuncola era una piccola porzione di terra di proprietà del monastero benedettino del monte Subasio. Su di essa si trovava una piccola chiesa del X-XI secolo, quasi del tutto abbandonata, dedicata a S. Maria degli Angeli. Anche il piccolo edificio conventuale che le stava accanto era semidistrutto.

I documenti derivati dalle primitive fonti francescane identificano la cappella come “santa Maria della Porziuncola” per le sue esigue dimensioni: - “Porzioncella” dunque - e chiamano il luogo circostante – caratterizzato dalla presenza di un bosco – “cerreto della Porziuncola”. La minuscola cappella era completamente immersa nella foresta e per questo piacque a Francesco, essendo il luogo solitario e tranquillo oltre che vicino ai lebbrosari dove si dedicava alla cura dei malati. Fu qui, proprio alla Porziuncola, che Francesco ebbe l’incontro folgorante col Vangelo: una domenica assistendo ad una lettura del brano riguardante la missione di predicare affidata da Cristo agli apostoli sente finalmente l’intuizione decisiva dopo il suo lungo meditare.

È passato un po’ di tempo dal comando in San Damiano e dalla rinuncia ai beni e Francesco, nel 1209 circa, ricostruisce la chiesetta e, adattando le rovine del piccolo convento, realizza una piccola abitazione. I primi biografi la chiameranno “la casetta” (“domuncola”). Qui i primi compagni Bernardo da Quintavalle e Pietro Cattani, dopo aver distribuito ai poveri i loro averi, raggiungono Francesco e preparano per loro capanne di creta e canne. Nel 1210 Francesco e i suoi compagni, di ritorno da Roma dopo l’approvazione della loro proto-regola da parte di Innocenzo III, ottengono da Teobaldo, abate benedettino del monte Subasio, il permesso ufficiale di occupare indefinitamente la Porziuncola per non essere cacciati anche di là, così come era accaduto a Rivotorto; in cambio avrebbero offerto ogni anno, in pagamento simbolico, un cesto di pesci.

In questo luogo si svolgeranno i più importanti avvenimenti della vita del Poverello e tutti gli atti più significativi riguardanti la Fraternità.Da qui Francesco inviava i suoi frati a predicare per il mondo e qua essi tornavano per incontrarsi e pregare.Fin dall’inizio infatti fu qui alla Porziuncola che si celebrarono i Capitoli, ovvero gli incontri annuali dei frati. Nel 1219 si ebbe il famoso “Capitolo delle stuoie”, così detto perché si dovettero approntare molti più graticci di paglia e canne del solito per l’arrivo imprevisto ed eccezionale di addirittura tremila frati.Nel 1220, al suo ritorno dal viaggio in Egitto, Francesco trova che il consiglio del comune aveva fatto costruire un edificio in pietra, al posto delle consuete capanne di paglia, per ospitare i frati in visita per il Capitolo generale. Francesco non approvando tale operato sale sul tetto della costruzione e inizia a smantellarlo.

Solo i sopravvenuti soldati del comune riescono a fermarlo, assicurandogli che tale edificio è di proprietà del comune di Assisi. Francesco allora, scende dal tetto, desistendo così dal proposito di distruggerlo; ma, ormai deluso dai confratelli che sembrano disattendere i precetti evangelici da lui sostenuti con tanto vigore e tenacia, fra lo sconcerto generale, dà le dimissioni e passa all’amico Pietro Cattani l’ufficio di guida dell’Ordine.L’intera poderosa costruzione della basilica di Santa Maria degli Angeli fu progettata dall’architetto perugino Galeazzo Alessi: avviata il 25 marzo del 1569 fu conclusa solo nel 1679.

Ora, il piccolo rudere della Porziuncola – non più abbracciato dalla fitta selva e sotto il manto protettivo della volta verde degli alberi – è come sperduto nell’immensa vastità della basilica che gli è cresciuta intorno, un freddo scrigno prezioso che sembra inghiottirlo – come fece la balena con Giona – mentre la mobile e viva chioma degli antichi alberi è stata sostituita dalla rigida, enorme cupola, sia pur bella e slanciata. Le sue povere e annerite pietre suscitano tenerezza e commozione se si pensa come Francesco le raccolse e sistemò per accogliere tutti coloro avessero voluto trovare rifugio sotto di esse, e come tra le sue pareti si svolsero così cruciali avvenimenti. Nella notte seguente alla domenica delle Palme – per alcuni il 18 marzo 1212, per altri il 28 marzo dell’anno precedente – Chiara di Favarone esce di nascosto con un’amica dalla casa paterna e va alla Porziuncola dove l’attende Francesco insieme ai compagni.

Sono lì ad aspettarla con le torce accese e Francesco le taglia i capelli, compiendo un gesto straordinario che, se eseguito come tonsura, dovette avere allora un significato eversivo, poiché la consacrazione delle suore era prerogativa esclusiva del vescovo.Con l’accettazione di Chiara di seguire per sempre lo stile di vita di Francesco nasce il Secondo Ordine.I sassi policromi del Subasio formano la costruzione rettangolare semplice e rozza –minuscola, di soli 4 metri per 7 –, ma di grande fascino per la sua vetusta poeticità.Nel corso dei secoli il suo aspetto esterno è stato più volte modificato con l’aggiunta di angeli, candelabri, campaniletti, mosaici. Le porte che la chiudono sono battenti del ‘400 e  numerosi affreschi di diverse epoche decorano le sue brune pareti.Il frontespizio porta quattro affreschi successivi: uno risale al 1392, il secondo del XV secolo, di mano di Nicolò dell’Alunno (1430-1502), il terzo dipinto dal Martelli nel 1638 e quello attuale, del 1830, dovuto a Federico Overbeck da Lubecca. Raffigura san Francesco che ottiene da Cristo, per intercessione di Maria, la concessione dell’indulgenza del Perdono per la Porziuncola.

Sull’apice del frontone è un piccolo tempietto gotico con l’immagine della Vergine col Bambino.Sul lato destro sono le vestigia di una cappella che stava a ridosso della Porziuncola con i frammenti di due affreschi del Quattrocento di influsso senese: S. Bernardino e la Madonna col Bambino in trono e i Ss. Francesco e Bernardino.La porta che su questo lato si apre – dalle dimensioni sproporzionate rispetto alla cappella, come lo sono anche quelle della porta centrale – risale al secolo XIV, quando fu realizzata per assicurare un deflusso regolare alle grandi folle di fedeli che entrando dalla porta principale di qui uscivano.Un’antica iscrizione latina (forse il più remoto documento epigrafico riguardante l’Ordine) ricorda la sepoltura, qui, di Pietro Cattani, il secondo compagno di Francesco, che morì il 10 marzo del 1221: “Anno Domini 1221 septimo calendis martii corpus Fratris Petri Catanii qui hic requiescit migravit ad Dominum. Animam cuius benedicat Dominus. Amen” (Nell’anno del Signore 1221 il 10 marzo il corpo del frate Pietro Cattani, che qui riposa, passò al Signore. Benedica il Signore la sua anima. Amen).

Sulla parete posteriore una porzione d’affresco, attribuito ad Andrea d’Assisi (Andrea Aloigi detto l’Ingegno, noto dal 1484-1516), raffigura un Calvario. Questo affresco ricopriva una delle pareti del cinquecentesco coro dei frati; il lacerto rimasto (è andata perduta la parte superiore) dà un’idea delle sue originarie dimensioni e contemporaneamente dell’ampiezza del coro stesso.All’interno la Porziuncola ha i muri anneriti e patinati dallo scorrere dei secoli. Nell’abside si riconosce in un riquadro una Vergine, resto di un’Annunciazione della bottega del Perugino. La pala d’altare – l’Annunciazione con le storie del Perdono – è una tavola dipinta nel 1393 da Ilario Zacchi da Viterbo. Un’iscrizione in caratteri gotici tradotta letteralmente dice: “Fece dipingere questa tavola frate Francesco da Sangemini, con le elemosine raccolte nell’anno del Signore 1393. L’opera fu iniziata nel mese di agosto e terminata in novembre, mentre da queste parti c’era minaccia di guerra e di carestia. La dipinse il sacerdote Ilario da Viterbo”.

Al principio del presbiterio, la Cappella del Transito – occupa il luogo dell’antica infermeria, unico edificio in muratura che Francesco aveva destinato alla cura e protezione degli ammalati – dove il santo, circondato dai compagni e da Chiara spirò la sera di sabato 3 ottobre 1226.Poco prima di morire Francesco chiamò Leone per dettargli l’ultima strofa del suo Cantico, quella dedicata a sorella Morte.

“Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullo omo po’ scampare.

Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!

Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati,

ca la morte seconda non li farrà male.

Laudate  e benedicite mi Signore,

e rengraziate e serviteli cunt grande umilitate“.

Così il Cantico delle Creature era finalmente completo.

Una statua di terracotta invetriata, capolavoro di Andrea della Robbia del 1475 circa, è posta in una nicchia sull’altare trecentesco della Cappella del Transito: raffigura Francesco in tutta la sua dolce, ascetica malinconia.

Qui davanti alla cappella sarebbe avvenuto il desinare mistico di Francesco e Chiara narrato nel capitolo XV dei Fioretti. Secondo il racconto: (…) Onde, per la prima vivanda, cominciò san Francesco ad parlare sì soavemente et altamente et maravigliosamente di Dio che, discendendo sopra loro l’abbondanzia della divina grazia, furono subito rapiti in Dio. Stando così ratti con le mani levate et li occhi fissi in cielo, gl’huomini d’Ascesi et di Bettona vedevano che santa Maria degl’ Angnoli et tutto lo luogo fortemente ardeva, che parea che fusse un gran fuoco che occupasse la chiesa, lo luogo et la selva insieme.Per la qual cosa li huomini d’Ascesi con gran fretta corsono là giù per spegnere il fuoco, credendo veramente che omni cosa ardesse. Giunti ad luogo, non trovarono arder nulla. Entrati dentro, trovarono san Francesco con santa Chiara et tutta lor compagnia per contemplazione ratti in Dio, et sedere intorno ad quella humile mensa: di che certamente compresono che quello era stato fuoco divino non materiale, quale miracolosamente Iddio aveva fatto apparire a dimostrare et significare il fuoco del divino amore, del quale ardevano l’anime di quelli santi frati et monache.

Onde con gran consolazione partirono con santa edificazione ne’ loro cuori. (…)

Molti altri Fioretti sono ambientati alla Porziuncola: nel capitolo VIII ha luogo l’episodio della spiegazione di Francesco a Leone della vera e perfetta letizia; nel capitolo X frate Masseo mette alla prova l’umiltà di Francesco rivolgendosi a lui con il celebre: “Perché a te, perché a te?”.

Nel Fioretto XVII un novizio spia Francesco in preghiera per imitarlo; nel Fioretto XXIII un frate disobbediente cambia atteggiamento grazie alle preghiere del santo.Gli scavi effettuati al di sotto della basilica hanno consentito oltre all’individuazione di parte dei resti archeologici – il pavimento dell’antico convento, le canalizzazioni dell’acqua e tutte le strutture semplici che danno un’idea della povertà dell’antico insediamento – di realizzare una cappella.In questa cripta sotto l’altare maggiore della basilica si trova un magnifico dossale d’altare, ancora di Andrea della Robbia, con sei scene: un trittico con l’Incoronazione della Vergine al centro, S. Francesco riceve le stimmate e San Gerolamo penitente ai lati, e una predella con l’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei magi.

L’artista con entrambe queste opere riesce a bene interpretare grazie alla sua efficace dote narrativa, fatta di religiosità affabile dal linguaggio diretto, la spiritualità e l’estetica francescana rivolta ai semplici sentimenti della devozione popolare. Nella sagrestia vi sono ricchi armadi intagliati del Seicento, sopra una nicchia una tavola attribuita a Giannicola Menni raffigura il Redentore.Uscendo dalla sagrestia si imbocca un corridoio costruito nel 1882 che porta al giardinetto del Roseto, dove c’è un bronzo (1912) di Vincenzo Rosignoli in cui si vede san Francesco con una pecorella: sul piedistallo è riportato un brano del Cantico. Il celebre Roseto è un piccolo spazio piantato a rose senza spine in ricordo del miracolo che la tradizione cita.La dimora abituale di Francesco, quando era alla Porziuncola, è ora inglobata nell’attuale Cappella del Roseto, composta di alcuni ambienti affrescati nei primi anni del ‘500 da Tiberio Diotallevi d’Assisi (circa 1470-1524).

Un primo ciclo di dipinti – situato nel cosiddetto Oratorio di S. Bonaventura – porta la data del 1506: si vedono, sopra l’altare san Francesco e i primi dodici compagni; a destra santa Chiara e santa Elisabetta d’Ungheria; a sinistra i Ss. Bonaventura, Bernardino da Siena, Lodovico di Tolosa, Antonio di Padova; nella volta il Padre Eterno. Alla cappella segue un ambiente aggiunto da S. Bernardino da Siena alle cui pareti vi sono affreschi datati 1518, data dell’ultimo intervento qui di Tiberio d’Assisi. Sono raffigurati cinque episodi della vita di Francesco narrati nelle leggende dei secoli XIV e XV, in particolare di Bartolomeo da Pisa: Francesco che si getta nel roseto; Francesco condotto alla Porziuncola da due angeli; Francesco che chiede il perdono della Porziuncola; Francesco che ottiene da papa Onorio III la conferma dell’indulgenza; Francesco che promulga il perdono. Quest’ultima immagine presenta un interesse iconografico notevole poiché mostra come era la Porziuncola agli inizi del Cinquecento – prima della costruzione della basilica – con il tetto posto a sua protezione e con l’affresco di Nicolò dell’Alunno.

Il convento di san Bernardino comprende i resti del convento ampliato al tempo di san Bernardino. Questo convento fu in parte demolito per fare posto alla grande basilica. Rimane il cosiddetto “pozzo di san Francesco” (lo si vede sotto un arco del muro esterno destro) che si trovava nel cortile dell’antico convento.Al piano superiore si può vedere la ricostruzione del dormitorio dei frati con le celle piccole e sobrie dove sono conservate delle reliquie.

Nel Museo sono conservati molti oggetti, anche di un certo pregio. Stoffe e ricami di grande valore, paramenti sacri dal XIV al XVIII secolo, reliquiari, codici e doni fatti alla chiesa. Tra le opere più interessanti vi sono: oltre a un Crocifisso su tavola firmato da Giunta Pisano (1236-40), due tavole lignee raffiguranti S. Francesco, una delle quali è attribuita a Cimabue (si dice sia servita a coprire il feretro di Francesco il giorno dei funerali). L’altra detta del “Maestro di S. Francesco”, del XIII secolo, è molto curiosa poiché il santo, rappresentato fra due angeli, reca tra le mani un cartiglio enigmatico nel suo significato. Esso dice: “Hic michi viventi lectus fuit et morienti”, che tradotto potrebbe suonare così: “Questo è stato per me il letto da vivo e da moribondo”; oppure “Qui è stato il mio riposo in vita e in morte”.

Il significato muta secondo a chi è riferito “hic”: alla croce che fa vedere o alla tavola sul quale è dipinto? Seguendo quest’ultima interpretazione si può supporre che questa sia stata la tavola sulla quale Francesco dormiva e dove è morto. Inoltre nella parte inferiore della tavola è presente una lunga iscrizione che fa riferimento alla verità delle stimmate.Nel Museo si possono vedere anche oggetti provenienti dalle Missioni tenute dai francescani in Asia, Africa e America centrale che costituiscono una ricca collezione etnografica (con pezzi risalenti al III-I millennio a.C.).All’uscita del Museo si trova la Cappella del Crocifisso, l’antica abitazione alla Porziuncola di Bernardo da Quintavalle (che morì tra il 1241 e il 1246, ed è sepolto in Assisi nella basilica di san Francesco), il primo compagno di Francesco insieme a Pietro Cattani.

Più oltre si trova il Conventino del beato Bernardino da Feltre: sui lati del chiostro si aprono l’antico Refettorio, ora Biblioteca, con 19 manoscritti miniati dei sec. XIV-XVI, circa 200 incunaboli, e un medagliere con 7000 monete; la Farmacia, con una interessante raccolta di vasi (sec. XVII-XVIII).Nel Convento attuale il grande chiostro del XVI secolo ha le lunette dipinte con quarantacinque affreschi che narrano episodi della vita di san Francesco. Al centro del chiostro è un grande puteale disegnato da Galeazzo Alessi.Il Refettorio piccolo conserva l’Ultima Cena di Nicolò Pomarancio (1517-1596) mentre il Refettorio grande la Crocifissione, un affresco di Dono Doni  (Assisi, primi del ‘500-1575), del 1561.

Percorrendo la strada che da Santa Maria degli Angeli conduce ad Assisi, si attraversa la valle spoletina sottostante la città dove in antico esisteva una rete di lebbrosari e asili per lebbrosi. Questi luoghi – oggi solo in parte visibili – sono importanti perché ricordano la fase iniziale della conversione di Francesco.

Il Poverello ricorderà nel suo testamento: “Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, poiché essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi  condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E poi, stetti un poco, e uscii dal mondo”.

Il giovane Francesco nelle sue solitarie passeggiate a cavallo spesso s’imbatteva nei poveri lebbrosi che tutti schivavano e non toccavano. Uomini, donne e persino bambini, sporchi, laceri, maleodoranti e ripugnanti a vedersi a causa delle piaghe che sfiguravano i volti e deturpavano i corpi; umiliati ed esclusi dalla società, costretti a suonare campanelle o a sbattere mascelle d’asino per segnalare agli altri il loro indesiderato passaggio per le strade. Veniva loro impedito, pena feroci maltrattamenti se avessero osato il contrario, di entrare in città e tantomeno di prendere acqua alle fontane pubbliche per non contaminarla. La loro vita era affidata alla carità e alla misericordia dei pochi che avevano il coraggio di occuparsi di loro.

Ora accade, che una delle volte in cui Francesco incontra fuori città un lebbroso, si fa forza superando il ribrezzo, riuscendo così ad essere compassionevole. Sceso dunque da cavallo si spinge fino ad abbracciarlo e a baciargli le mani. Ed ecco fatto il primo passo.D’ora in poi Francesco si dedicherà costantemente a quei poveri sfortunati curandoli e assistendoli come meglio si poteva a quell’epoca.Non c’era infatti alcuna cura per quella terribile maledizione che era la lebbra. Si potevano solo opporre ad essa rimedi aleatori e insufficienti. In Europa il male era così diffuso che al principio del XIII secolo vi erano ben 19000 ospedali per lebbrosi.

Anche nella regione umbra il popolo dei lebbrosi era numeroso e i dintorni della città erano punteggiati di questi asili gestiti da appositi Ordini e Confraternite. Lo stesso Innocenzo III nel 1198, da poco eletto papa, in una lettera conferma che l’asilo per i lebbrosi doveva trovarsi ai bordi della via Francigena sottoposta alla giurisdizione del vescovo; cita inoltre il “querceto grosso” o “querceto della Porziuncola” dove si trovava l’ospedale di Selvagrossa. Infatti tra la Porziuncola e Rivotorto vi erano alcuni lebbrosari, primo fra tutti l’ospedale di San Lazzaro d’Arce, esistente già nel secolo XI quando venne edificata la chiesetta, tuttora esistente, di Santa Maria Maddalena. Quest’ultima che si trova alla sinistra della strada che va dalla Porziuncola a Rivotorto merita una sosta nel viaggio verso Assisi. La piccola chiesa, in pietra grezza, conserva un fascino semplice e primitivo: un doppio portale sul frontespizio, un piccolo lucernario romanico e un modesto campanile sono le caratteristiche salienti di questa costruzione. L’abside semicircolare, aggiunta successivamente e di grande bellezza, chiude a un’estremità l’interno che appare come un semplice spazio rettangolare. Alcuni archi posti recentemente sostengono il tetto con un armonico risultato.

Un altro ospedale molto legato alla vita di Francesco e dei suoi primi compagni è San Salvatore alle Pareti, meglio conosciuto come “Pallereto”. Già al 1193 risalgono i primi documenti che lo riguardano oltre, successivamente, alla già citata lettera di Innocenzo III del 1198. In questo ospedale – di cui ora non si conserva quasi più alcuna traccia nel luogo oggi identificabile con la Casa Gualdi, dal nome dalla famiglia proprietaria (e citato nelle carte topografiche come “l’Ospizio”) –, Francesco, secondo la tradizione, guarì Morico che divenne poi suo compagno; ne fa forse riferimento l’episodio narrato nel Fioretto XXV. Sempre qui, come ricorda un bassorilievo realizzato da Vincenzo Rosignoli nel 1910 e inserito sui muri esterni dell’immobile, si trova il luogo dove il Poverello morente, trasportato in barella dal vescovado alla Porziuncola, ordinò al corteo di frati che lo accompagnava di fermarsi e voltandosi diede l’ultimo saluto alla sua città, benedicendola.

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