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Itinerario Turismo Roma
Chiesa di S. CECILIA IN TRASTEVERE
Questa basilica transtiberina è tra le più rilevanti di Roma per la presenza di
tre assoluti capolavori: gli affreschi di Pietro Cavallini, il ciborio di
Arnolfo di Cambio e la bellissima statua di Stefano Maderno raffigurante la
santa.
Proprio sulle fondamenta di una casa romana, quella che la tradizione
attribuisce a S. Cecilia, è costruita la chiesa. Fatta realizzare da papa
Pasquale I (817-824) fu arricchita del portico, del campanile e di una parte del
convento da Pasquale II (1099-1118). Una successiva fase di completamento del
progetto decorativo si ebbe negli anni novanta del XIII secolo con la
realizzazione degli affreschi del Cavallini e del prezioso ciborio di Arnolfo di
Cambio. Nel Quattrocento e soprattutto nel Cinquecento furono operati importanti
restauri che portarono, nel 1599, al clamoroso ritrovamento del corpo della
martire Cecilia.
L’interno della chiesa, a tre navate, fu fortemente rimaneggiato nel 1724
modificando notevolmente l’antico assetto; infine nel 1823, per seri motivi
statici, le colonne delle navate furono racchiuse in pilastri di muratura,
intervento che ha purtroppo alterato irrimediabilmente l’originario equilibrio
spaziale dell’aula basilicale.
Il monumentale ingresso settecentesco (attribuito a Ferdinando Fuga) dalla
piazza conduce al quadriportico originario di accesso alla chiesa, oggi
trasformato in un giardino con aiuole piantate a rose, al centro del quale è
collocato un grande vaso romano. Sui due lati del giardino affacciano: a destra,
un monastero di suore francescane, a sinistra un monastero di benedettine, alle
quali è affidata la custodia della basilica.
Un fregio musivo risalente al XII secolo corre sull’architrave del portico della
chiesa:
riccamente policromo raffigura S. Cecilia fra altri santi e sante. Allo stesso
secolo risaliva un ciclo di affreschi sulla vita della santa che ne decoravano
l’interno, cancellato nel Settecento per il suo cattivo stato di conservazione.
Sotto il portico spicca sulla destra il monumento funebre del cardinale Paolo
Emilio Sfondrato (1560-1618), opera di Girolamo Rainaldi, le cui sculture furono
disegnate da Pietro Bernini, padre di Gianlorenzo.Proprio al cardinal Sfondrato
si deve il restauro più importante che la chiesa ebbe in previsione del grande
giubileo del 1600.
Il cardinale, nipote di papa Gregorio XIV, era divenuto titolare della chiesa
nel 1590 ed essendo un gran collezionista e appassionato d’arte, oltre che
mecenate, progettò un radicale restauro dell’antica basilica in linea con il
rinnovamento degli antichi luoghi di culto propugnato dalla religiosità corrente
di Filippo Neri, Federico Borromeo e del cardinale Cesare Baronio, esperto del
culto degli antichi martiri con cui lo Sfondrato condivideva gli ideali del
cristianesimo delle origini.
Così insieme allo scultore Stefano Maderno, giovane talento che il cardinale
intendeva valorizzare, Paolo Emilio Sfondrato ideò un apparato decorativo da
realizzarsi nella zona della confessione dove, dopo il restauro del prezioso
ciborio arnolfiano, furono avviati i lavori di scavo alla ricerca dei resti di
Cecilia e degli altri martiri che con lei si riteneva fossero stati sepolti in
quel particolare luogo della chiesa nell’821 da Pasquale I.Il fervore
appassionato con cui la ricerca andò avanti venne, il 20 ottobre del 1599,
premiato con il ritrovamento delle spoglie della santa che il giovanissimo
Maderno (aveva solo ventitré anni, essendo nato nel 1576), ritrarrà l’anno
successivo – su esplicita richiesta del cardinale Sfondrato – nella stessa
posizione in cui il corpo della martire si trovava all’interno dell’arca di
cipresso in cui era stata deposta, creando così il primo capolavoro del nuovo
secolo.
Giacente su un fianco con il capo girato all’indietro e avvolto in un velo (i
delicati tratti del volto, purtroppo inaccessibili all’osservatore comune, sono
riapparsi dopo un recente accuratissimo restauro, quando l’opera è stata rimossa
dalla sua collocazione), le profonde ferite ben evidenti sul collo, le dita
delle mani indicanti il luogo e la Trinità, e forse i suoi tre giorni d’agonia:
così compare l’esile figura della santa scolpita con tratti eleganti ed
essenziali. È questa statua veramente unica e commovente, ed infatti è da sempre
ritenuta la più bella ed emozionante statua di Roma. Stefano Maderno la realizzò
in un unico blocco di marmo pentelico, certamente di recupero, di epoca romana.Tra
la navata e il presbiterio – posta a sottolineare la sacralità del luogo come
era desiderio del committente – la ricchissima balaustra forma una elegantissima
e articolata recinzione composta di marmi policromi e pietre rare che estende il
suo disegno anche sul pavimento dove il diaspro, l’alabastro e il lapislazzulo
stesi come un tappeto rendono ancora più prezioso tutto l’insieme.
Al centro la nicchia in marmo nero simula l’urna in cui fu ritrovata la santa e
il marmo candidissimo della statua-simulacro splende, facendo da suggestivo
fulcro visivo e simbolico dell’intervento architettonico per certi versi
anticipatore del barocco trionfante degli anni a venire. Tutta la decorazione in
bronzo dorato con gli angeli che sormontano l’arca e i rilievi raffiguranti le
immagini dei martiri ritrovati insieme a Cecilia (suo marito Valeriano,
Tiburzio, Massimo, Lucio e Urbano), appartiene molto probabilmente allo stesso
Maderno.In particolare, nell’esecuzione della figura in bronzo di S. Cecilia, lo
scultore rievoca dichiaratamente la posa della santa nel celebre dipinto di
Raffaello da cui il cardinale aveva fatto trarre una copia ad un altro giovane
artista suo protetto, Guido Reni, coetaneo di Maderno.L’intera struttura
presbiteriale è comunque il risultato di un lavoro d’équipe in cui Giacomo Della
Porta ha il ruolo di supervisore generale e Pompeo Targone realizza il complesso
intervento, mentre Gaspare Guerra, architetto della comunità religiosa, coordina
il lavoro degli scalpellini, fonditori e doratori coinvolti nei lavori.
Il ciborio di Arnolfo di Cambio – raffinatissimo capolavoro dell’arte gotica che
porta la firma dell’artista e la data di realizzazione, il 1293 –, corona
l’altare e ha alle sue spalle, nel catino absidale, il mosaico raffigurante il
Redentore benedicente con, a sinistra, i Ss. Paolo e Cecilia, e il papa Pasquale
I (il committente dell’opera che reca tra le mani il modellino della chiesa
offerta e portante sulla testa il nimbo quadrato, a significare che al momento
dell’esecuzione del mosaico era in vita); mentre a destra si vedono i Ss.
Pietro, Valeriano e Agata.Nelle navate laterali e nelle cappelle sono presenti
altre opere d’arte commissionate appositamente dal cardinale Sfondrato
nell’ambito del suo programma di totale rinnovamento della chiesa. Nell’ambiente
del calidarium, dove la martire fu esposta ai vapori bollenti prima di essere
decapitata, sono visibili due tele di Guido Reni: un tondo con l’Incoronazione
dei Ss. Valeriano e Cecilia eseguito nel 1600, e sull’altare la Decollazione
della santa, dell’anno successivo.
Inoltre il cardinale incarica il pittore fiammingo Paul Brill di dipingere
completamente le pareti del corridoio d’accesso al Bagno con scene di paesaggio
e santi in meditazione, una scelta inusuale e innovativa per l’epoca, che
riflette la volontà dello Sfondrato di richiamarsi ai valori arcaici di purezza
ispirati al culto dei primi martiri.Sempre sulla destra della navata si aprono:
la quattrocentesca cappella Ponziani, la settecentesca cappella delle Reliquie,
del Vanvitelli, e una cappella con lo scenografico monumento funebre del
cardinale Rampolla del Tindaro, del 1929.
Dalla navata sinistra si può salire al coro delle monache – settecentesco
matroneo per le suore di clausura, visibile dall’interno della chiesa e
corrispondente al sottostante vestibolo interno –, dove nel 1900 è stato
riscoperto lo straordinario Giudizio Universale di Pietro Cavallini, coevo al
ciborio (1293).
Questo capolavoro dell’arte medievale romana è di fondamentale importanza come
opera di transizione dall’arte bizantina e preludio alla nascita della pittura
moderna che avrà in Giotto uno dei massimi esponenti.
L’affresco si estendeva in origine su tutta la controfacciata della chiesa e
probabilmente altre pitture proseguivano lungo le pareti della navata centrale,
in alternanza con le finestre e gli archi del colonnato, ora inesorabilmente
ricoperte dai rifacimenti settecenteschi di cui la volta, con l’affresco con
l’Incoronazione di S. Cecilia di Sebastiano Conca del 1725, fa parte.
Sotto la basilica si estende un ampio complesso archeologico (portato alla luce
in concomitanza con il rinvenimento del Giudizio del Cavallini), comprendente
costruzioni e ambienti romani che vanno dall’età tardo repubblicana al IV secolo
d. C.; da qui si può accedere alla cripta neobizantina che il cardinale Rampolla
del Tindaro commissionò nel 1901 all’architetto Giovan Battista Giovenale, da
dove per una finestrella sopra l’altare è possibile vedere i sarcofagi che
racchiudono le spoglie di S. Cecilia e degli altri martiri.
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