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LE CHIESE DI ROMA di Maria Cristina Giammetta
Lo skyline di Roma è fatto di cupole. Cupole, cupole e ancora cupole. Dall’altura del Gianicolo, dal colle Aventino, dalla terrazza del Pincio o dagli spalti di Castel Sant’Angelo sono loro, le cupole – imprescindibili sagome-simbolo dell’Urbe – a tracciare il profilo inconfondibile della città; riempiendo lo spazio tra terra e cielo compaiono disegnate nella fresca alba rosata come negli infuocati tramonti estivi. Volte celesti in miniatura, anche quelle dalle forme più disparate – sferiche, ellittiche, ogivali – le più inventive e originali, le cupole delle chiese romane sono state da sempre la prova più intrigante per gli architetti che si sono cimentati nella loro costruzione. Ecco ad esempio, per citare il caso più speciale, spuntare su tutte il “pungiglione” che svetta sul tamburo di S. Ivo alla Sapienza a segnalare una delle più belle, seppure forse fra le meno note, delle chiese romane; e poi cupole e cupolini, campanili e lanterne riempiono a mille il panorama e invitano alla scoperta delle chiese a cui appartengono.
Chiese antichissime, maestose, solenni, immense e famosissime che si affacciano su piazze grandiose; oppure piccole e appartate, ma non per questo meno belle, ricche ed eleganti: minime delizie da scoprire, là dove sono, nascoste fra le pieghe degli intricati vicoli romani, poste in modo da creare una piazzetta tutta per loro. Tutte sono scrigni preziosi custodi di un patrimonio artistico immenso fatto di affreschi, dipinti, sculture, mosaici e decori eccezionali che si celano dietro le loro facciate austere, composte di antiche colonne, o mosse dal brioso vento barocco che scioglie le forme in un fantastico volo di creatività. Questa piccola ricognizione tra le chiese romane vuole mostrare ciò che può riservare alla curiosità il tesoro più importante di Roma. Siano esse medievali, rinascimentali o barocche ci si trova sempre di fronte ad un complesso insieme di stili che sovrapponendosi nel corso delle epoche si sono amalgamati in una splendida e unica totalità.
Alcune di loro sono celebri per un’opera singolare racchiusa al suo interno, come ad esempio la spettacolare “gloria” d’altare di S. Maria in Campitelli, una macchina barocca eccezionale per grandezza e bellezza. In S. Lorenzo in Lucina il magnifico crocifisso di Guido Reni, visibile sin dall’entrata, sorprende per la sua tragica veridicità. La bellissima statua di S. Cecilia di Stefano Maderno, nella chiesa dedicata alla santa, è di una perfezione commovente che coinvolge emotivamente il visitatore. Come magnifica e sorprendente è la Cappella Spada creata da Francesco Borromini nella piccola chiesa di S. Girolamo della Carità, che da sola vale una visita. In Santa Maria degli Angeli a stupire è l’immenso spazio che il genio michelangiolesco ha rimodellato dalle grandiose terme di Diocleziano…. Si potrebbe continuare così quasi all’infinito e allora iniziamo senz’altro la scoperta…
TRE PICCOLE CHIESE
Queste tre piccole chiese si trovano tutte vicine tra loro, nella parte più caratteristica di Roma, tra Piazza Farnese e Piazza Campo de' Fiori
UNA CHIESA MEDIEVALE, UNA RINASCIMENTALE E UNA BAROCCA
Questo titolo perentorio e definitivo forse non è completamente adeguato perché quasi tutte le chiese romane assommano in sé molti stili di epoche diverse formando infine un tutt’uno omogeneo, unico e irripetibile.
BORROMINI VERSUS BERNINI
S. Carlino alle Quattro Fontane
Un confronto fra i due grandi architetti s’impone poiché la città barocca è stato il campo incontrastato delle loro splendide sfide. Queste due chiese poste a pochi passi l’una dall’altra sulla stessa strada ne sono la più viva testimonianza.
LE CHIESE DI CARAVAGGIO
LE CHIESE CHE CONTENGONO UN’OPERA D’ARTE CELEBRE
S. Lorenzo in Lucina e il Crocifisso di Guido Reni S. Maria della Vittoria e la S. Teresa di G.L. Bernini S. Maria in Trastevere e il mosaico di Pietro Cavallini
DUE CHIESE DI PIETRO DA CORTONA ARCHITETTO
LE CHIESE DELLA CONTRORIFORMA
Tra la seconda metà del Cinquecento e il Seicento si completano a Roma grandi chiese, le sedi dei nuovi ordini religiosi controriformistici, Filippini, Gesuiti, Teatini. Si tratta di importanti centri religiosi con spesso accanto vasti complessi che occupano interi isolati nella città: luoghi dove si prega, si studia, si diffonde la cultura, si formano le nuove generazioni di religiosi, si discute su ciò che avviene in tutto il mondo cattolico.
Questi monumentali emblemi della Chiesa della Controriforma sono considerati le testimonianze più sfarzose del barocco, ma non va tuttavia dimenticato che queste chiese furono inizialmente edificate - per volere esplicito dei loro padri fondatori (S. Filippo Neri, S. Ignazio di Loyola) - seguendo uno stile severo e austero, senza troppe concessioni al lusso e alle ricchezze e che solo poi, nel corso del tempo e fino all’Ottocento, continuarono ad essere decorate con la profusione di opere d’arte, stucchi e marmi preziosi come appaiono a noi ora.
S. Maria in Vallicella (la Chiesa Nuova)
UN’OPERA UNICA
S. Maria del Priorato di G.B. Piranesi
Giovan Battista Piranesi, pur firmando con orgoglio e fierezza tutte le sue opere teoriche “architectus venetianus”, convertì in vera pietra e vero marmo una sola opera, volgendo l’appassionata vocazione d’architetto nel mirabile virtuosismo d’incisore che tutto il mondo conosce. Unica sua prova di costruttore, ma di eccelsa qualità – certo il maggior capolavoro del Settecento romano – compendio e sintesi di tutta la sua originale e personale visione dell’arte architettonica, ai limiti alle volte del sogno metafisico, posta all’interno di Villa Magistrale sul colle Aventino è S. Maria del Priorato.
TRE CHIESE NASCOSTE
Chiesa dei Re Magi nel Palazzo di Propaganda Fide Chiesa di San Filippo Neri nel Palazzo Massimo alle Colonne Chiesa di Sant'Aniceto a Palazzo Altemps
Vi sono a Roma delle chiese “invisibili” perché racchiuse negli antichi palazzi patrizi: erano usate come cappelle dalle nobili famiglie che le possedevano e che le avevano fatte costruire non solo per poter seguire in privato gli uffici religiosi ma anche per custodire importanti reliquie o in ricordo di un evento particolare o straordinario; altre si trovano in palazzi sedi di importanti istituzioni religiose. A causa della loro celata ubicazione sfuggono alla vista anche dei più attenti osservatori; la maggioranza delle persone, quindi, non sa neanche della loro esistenza. Private di facciata, il loro ideale e unico prospetto è lo stesso palazzo che segretamente le ospita. Eccone tre significativi esempi. LEGAMI TRA CHIESE
Quando nel medioevo la chiesa di S. Lorenzo in Damaso godette di grandi privilegi aveva un certo numero di altre chiese dipendenti e tra queste anche S. Pantaleo; ma non è solo questo il legame che unisce queste due chiese: l’altro, è il lavoro di un celebre architetto: Giuseppe Valadier, che negli anni 1806-1807 realizzò sia il restauro interno di S. Lorenzo in Damaso che la facciata di S. Pantaleo. Inoltre queste due chiese, entrambe molto belle ma diversissime tra loro, sono spazialmente vicine trovandosi sull’itinerario ideale che porta da piazza Campo de’ Fiori a piazza Navona.
L'ISOLA TIBERINA E LE SUE CHIESE
Insula Tiberina e Insula Tiberis oppure Insula Aesculapii o anche Insula Epidaurii, questi alcuni dei molti nomi che l’isola di Roma, ormeggiata come un’antica nave al suo approdo naturale sul fiume, può vantare. Questa formazione sedimentaria creatasi per la progressiva stratificazione dei materiali trasportati dalla corrente – soprattutto sabbia e ghiaia – che si sono depositati in quel punto del fiume in cui una profonda insenatura placa lo scorrere veloce dell’acqua, nell’ansa tra l’Aventino e Trastevere, è stata definita da Plutarco come “un’isola sacra nei confronti della città, che ospita templi e giardini”. Ed infatti fin dall’antichità è stata sede di luoghi di culto importanti per i Romani come il Tempio di Giove Giurario (i cui resti furono ritrovati sotto l’attuale chiesa di San Giovanni Calibita); il Tempio di Fauno e Fauna e quello dedicato alla dea Bona. Ma il più noto – e quello che senz’altro ha trasmesso fino ad oggi la vocazione ospedaliera all’isola – è il tempio che fu dedicato dai Romani ad Esculapio, il dio greco della medicina, all’infuriare di una terribile pestilenza. Narra Tito Livio che il Senato, nel 291 a. C., dopo aver rivolto preghiere e tributato sacrifici al dio perché placasse l’orribile morbo – ma non ottenendone sollievo –decise, secondo i responsi della consultazione dei Libri Sibillini, di inviare una delegazione in Grecia, a Epidauro, dove risiedeva il serpente sacro al dio Esculapio. I dieci messi romani ottennero senza difficoltà dai sacerdoti del tempio di portare con loro il serpente sacro che anzi, da solo si avviò verso la triremi romana salendo sul ponte dove rimase tranquillo per tutta la durata della lunga navigazione verso Roma. Quando la nave, risalendo il corso del Tevere, giunse in prossimità dell’isola Tiberina il rettile, come risvegliatosi, con un balzò saltò giù dalla triremi e andò a rifugiarsi in un canneto dell’isola. I Romani interpretarono l’evento come la scelta fatta dal dio di stabilirsi in quel luogo e decretarono l’isola come nuova dimora di Asclepio. Immediatamente la pestilenza cessò. Il Senato fece allora costruire un tempio che probabilmente era affiancato da strutture dedicate alla salute pubblica. Quest’ipotesi sembra, per i secoli successivi, confermata dalla testimonianza di Marliano che nella sua Urbe Romae Topographia del 1544 afferma l’esistenza, in prossimità del Tempio di Esculapio di un santuario-ospedale, in cui il culto dell’apostolo Bartolomeo era subentrato a quello dell’antico dio greco. Ancora oggi sul lato sinistro dell’estrema punta meridionale dell’isola (prua e fiancata della “nave”) è possibile vedere gli enormi blocchi di travertino che facevano parte dell’antico Tempio di Esculapio; e ad alcuni metri dal suolo compare ancora la sagoma del simbolo della medicina: il caducèo, ovvero il bastone sacro a cui si attorcono le spire del serpente caro al dio. Accanto al caducèo prende forma anche il busto di Asclepio con accanto una testa di toro, forse una bitta d’ormeggio. Tra leggenda e verità storica, confermate entrambe da recenti scavi archeologici, l’isola è tuttora sede di un presidio ospedaliero dalla lunghissima tradizione.
TRE ANTICHISSIME CHIESE A poca distanza dal corso del Tevere e dall’Isola Tiberina si apre la valletta tra i colli Capitolino e Palatino, l’antica palude fluviale detta Velabro dove la tradizione narra che il pastore Faustolo rinvenne, accanto al Ficus Ruminales, la cesta con i piccoli gemelli naufraghi. Qui si addensano importanti testimonianze d’epoca romana tardo repubblicana: il Tempio della Fortuna Virile, ora identificato con certezza con il tempio di Portunus il dio protettore del vicino porto fluviale; e quello conosciuto come di Vesta, in realtà dedicato a Ercole Vincitore, il più antico edificio superstite della città costruito in marmo; entrambi straordinariamente ben conservati perché trasformati in chiesa, fronteggiano solenni – sull’ampio spiazzo erboso dove la fontana tardo barocca dei Tritoni di Carlo Bizzaccheri movimenta la vista – la chiesa di S. Maria in Cosmedin. Poi, poco più oltre, ecco l’arco quadrifronte detto di Giano, massiccio passaggio che precede e introduce alla piccola piazza dove è la basilica di S. Giorgio al Velabro a sua volta affiancata dall’ornatissimo arco degli Argentari, uno degli antichi accessi al Foro Boario che la corporazione dei cambiavalute dedicò, nel 204, alla famiglia imperiale. Le varie età della città eterna si amalgamano così, dispiegandosi potenti nello spazio orizzontale di pochi straordinari metri quadrati; così come pure incarna la continuità della storia millenaria di Roma un’altra importantissima chiesa che, nel suo stesso aspetto strutturale, evoluto in tre diversi livelli sovrapposti, racchiude il verticale passare dei secoli: S. Clemente. S. Maria in Cosmedin, San Giorgio al Velabro, S. Clemente fanno parte di quella tipologia di chiese medievali che rispecchiano un momento importante dell’arte a Roma che tende a stabilire l’ininterrotto procedere tra il mondo antico e tardo antico con quello successivo mediante sia la ripresa dell’uso di antiche tecniche: la grande decorazione a mosaico, ad esempio, che vedere l’affermarsi dell’ampio fenomeno del riuso e del reimpiego di materiali pregiati provenienti dai vetusti edifici romani. Non si tratta in quest’ultimo caso solo di mera attività di spoglio per motivi economici e di convenienza ma bensì di una consapevole volontà di perpetuare nel tempo i modi dell’antico e insieme del riappropriarsi simbolico di precisi elementi architettonici come colonne, capitelli, trabeazioni, decorazioni, per farne, rinnovati e ricreati, il motivo centrale su cui impostare l’intera visione architettonica del momento, quella non più pagana ma cristiana. Fanno così la loro comparsa sia a S. Clemente che a S. Maria in Cosmedin anche innovazioni come i pilastri, seppure inframmezzati alle colonne. Santuari di Roma
CHIESE SUI COLLI
S. Maria in Aracoeli (Capitolino) S. Sabina (Aventino) Ss. Quattro Coronati (Esquilino) S. Francesca Romana (Palatino)
UNA CHIESA DEL SETTECENTO
S. Eustachio
DUE CHIESE PARTICOLARI
S. Maria degli Angeli S. Maria in Campitelli
MOSAICI E CAPPELLE
Santa Prassede e Santa Prudenziana
CANOVA ai SS. Apostoli MICHELANGELO a S. Pietro in Vincoli
BIBLIOGRAFIA
Giampaolo Infusino – Le chiese storiche di Roma entro le mura – Ed. Lito-Rama, Napoli, 2003. Roma Sacra – Soprintendenza per i beni artistici e storici di Roma – Guida alle chiese della città eterna, 9° e 10° itinerario (maggio e settembre 1997), Elio de Rosa editore.
Federico Gizzi :
Ludovico Pratesi:
Laura Rendina, I chiostri di Roma, Tascabili Economici Newton, 1995. Armando Ravaglioli, Piazzette di Roma, Tascabili Economici Newton, 1994. Luciano Sterpellone, L'Isola Tiberina, Tascabili Economici Newton, 1998. Guide Artistiche Electa – Itinerari cortoneschi a Roma, a cura di Tullia Carratù e Michela Ulivi, 1997. Itinerari d’arte e di cultura – Basiliche – a cura di Maria Giulia Barberini, I Santi Quattro Coronati a Roma, Fratelli Palombi Editori, 1989. Soprintendenza Archeologica di Roma – Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, Electa, 1997. Guida di Roma, T.C.I., 2004.
ART DOSSIER GIUNTI
Stefano Borsi – Borromini – n. 153, febbraio 2000. Anna Lo Bianco – Pietro da Cortona e la grande decorazione barocca – n. 72, ottobre 1992. Oreste Ferrari – Bernini – n. 57, maggio 1991. Maurizio Calvesi – Caravaggio – n. 1, aprile 1986. Claudio Strinati – Raffaello –n. 97, gennaio 1995. Orietta Rossi Pinelli - Piranesi - n. 186, febbraio 2003. Marco Fabio Apolloni - Canova - n. 68, maggio 1992. Giulia Cosmo - Michelangelo - La scultura - n. 125, luglio/agosto 1997.
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